Migranti in attesa di una sistemazione - Ansa
In Sicilia, in una struttura ex Sprar in provincia di Caltanissetta, due giovani genitori nigeriani attendono di conoscere cosa sarà di loro e dei loro bimbi, dove vivrà la loro famiglia e come si sfamerà dal giorno di Capodanno. Al momento, papà N. e mamma F. (li chiameremo così) vivono in un’unica struttura, insieme a una bimba di 3 anni e a un frugoletto di 2, nato in Italia. N. è richiedente asilo (in attesa di pronuncia sul suo ricorso) e F. invece ha la protezione umanitaria ed è bisognosa di cure per patologie contratte in seguito a violenze subite in un campo libico.
In base alle recenti circolari del Viminale della scorsa settimana, N. potrebbe essere trasferito in un Centro di accoglienza straordinaria (i cosiddetti Cas), mentre F. teme di dover uscire dal circuito dell’accoglienza, insieme ai due bambini, uno dei quali è malato. In una struttura vicina, un’altra famiglia ha gli stessi timori: mamma e papà del Ghana, entrambi con permesso 'umanitario' e con tre bimbi, temono di dover lasciare quella realtà, dove hanno iniziato un percorso d’integrazione, e finire chissà dove. Le loro storie sono solo uno spaccato del coacervo di timori e ansie che agita – in questi giorni di Natale – migliaia di uomini, donne e bambini, accolti in Italia e titolari di forme di protezione umanitaria, ma ora collocati in un angoscioso 'limbo', a causa dell’applicazione di norme generate dai contestati decreti sicurezza varati dal precedente governo e targati Matteo Salvini, che l’attuale esecutivo Conte – nonostante i rilievi del Quirinale e l’impegno a ritoccarli – non ha ancora modificato.
Migliaia nel «limbo». La settimana scorsa, una circolare del ministero dell’Interno ha disposto, a partire dal 1° gennaio, il trasferimento nei Cas dei richiedenti asilo attualmente ospiti nei centri ex Sprar (con termine 31 dicembre). «Una prescrizione illegittima e sbagliata », dice ad Avvenire Filippo Miraglia, responsabile immigrazione dell’Arci, che nei giorni scorsi ha fatto suonare un campanello d’allarme. In molte province italiane, spiega Miraglia, «i bandi per la gestione dei Cas sono andati deserti» e pertanto molti richiedenti asilo, anziché in zone vicine, «rischiano di essere trasferite anche a centinaia di chilometri di distanza. E chi si dovesse rifiutarsi, potrebbe finire per strada, d’inverno, anche se si tratta di famiglie con bambini».
La proroga in extremis. Anche le preoccupazioni sollevate da enti e associazioni impegnati sul fronte dell’accoglienza hanno indotto, ieri, i tecnici del Viminale a trovare una soluzionetampone, attraverso una 'proroga', i cui contorni sono ancora vaghi: al termine di un incontro con l’Anci, che rappresenta gli 8mila comuni italiani, si è stabilito che «i titolari di protezione umanitaria presenti nei progetti Siproimi potranno rimanere nelle strutture anche oltre il 31 dicembre» grazie a fondi dell’Unione Europea. Con quali modalità e tutele? Non è ancora chiaro, si sa solo che il Servizio centrale del ministero «fornirà le opportune indicazioni ai Comuni». Già sabato, sempre l’Interno aveva fatto diramare una nota 'rassicurante', affermando che «nessuno dei 1.428 titolari di permesso di soggiorno per motivi umanitari finirà per strada», precisando che la continuità all’assistenza potrà essere garantita, lasciando aperta la possibilità di mantenere la sede d’accoglienza attuale. A gennaio, potrebbero arrivare dal governo le proposte di modifica ai decreti sicurezza, ma nell’attesa il Viminale ribadisce attenzione «alle condizioni di vita» degli immigrati accolti e alle esigenze di comuni e associazioni.
Le associazioni in piazza. La proroga di ieri viene salutata come «un parziale risultato positivo » dal Tavolo Asilo nazionale (a cui aderiscono una ventina di organizzazioni, fra cui Caritas, Acli, Arci, Cir, Fondazione Migrantes, Asgi, Comunità di Sant’Egidio, Centro Astalli e Papa Giovanni XXIII), che tuttavia conserva «forte preoccupazione ». La via maestra, dice la nota, è «il ritiro delle due circolari, basate su un’interpretazione erronea e illegittima del primo decreto sicurezza», di cui da tempo il terzo settore chiede l’abolizione. Venerdì, le associazioni manifesteranno davanti alle prefetture di tutt’Italia, per chiedere di ripristinare lo Sprar e garantire a richiedenti asilo e rifugiati «un’accoglienza dignitosa, nel rispetto della Costituzione».