«I governi europei sono consapevolmente complici delle torture e degli abusi su decine di migliaia di rifugiati e migranti detenuti dalle autorità di immigrazione libiche in condizioni spaventose». Lo dichiara Amnesty International in un nuovo rapporto sulla Libia che verrà presentato oggi a Bruxelles.
In 66 pagine l’organizzazione per i diritti umani riporta testimonianze recenti ed episodi registrati sul campo dai ricercatori. «I governi europei stanno sostenendo attivamente un sofisticato sistema di abuso e sfruttamento dei rifugiati», denuncia Amnesty, secondo cui le cancellerie del Vecchio Continente stano «sostenendo attivamente le autorità libiche», si stano rendendo «complici di questi crimini».
Decine di migranti e rifugiati intervistati hanno fornito elementi concordanti circa «la collusione tra le guardie, i contrabbandieri e la Guardia costiera libica». I sorveglianti dei centri di detenzione non di rado si rendono protagonisti di torture a scopo di estorsione. Solo chi paga viene rilasciato o messo su un gommone.
«Gli accordi tra la Guardia costiera libica e i trafficanti sono provati – si legge – dalla presenza di “segni distintivi” su alcuni barconi che vengono lasciati passare, senza mai venire intercettati, e diversi testimoni raccontano di essere stati scortati dalle motovedette verso acque internazionali».
Nel dossier, che tra l’altro cita alcuni approfondimenti di Avvenire, viene spiegato che se non sono del tutto chiare le modalità con cui molti membri della Guardia costiera di Tripoli collaborano con i contrabbandieri, è invece chiaro che, durante il 2016 e il 2017, «la accresciuta capacità della Guardia costiera, grazie al sostegno degli Stati membri dell’Ue, ha portato ad un crescente numero di operazioni in cui i migranti sono riportati verso la Libia». Finora sono state 19.452 le persone intercettate dalla Guardia costiera libica e immediatamente trasferite «in centri di detenzione dove la tortura è all’ordine del giorno».
Migranti e rifugiati intervistati hanno descritto gli abusi subiti: detenzioni arbitrarie, torture, lavori forzati, estorsioni, uccisioni illegali. Soprusi commessi per mano delle autorità, dei trafficanti o di milizie.
Un uomo partito dal Gambia e arrivato in Italia è stato imprigionato per tre mesi: «Mi hanno picchiato con un tubo di gomma, perché volevano dalla mia famiglia soldi per rilasciarmi». Dopo che i parenti avevano pagato il riscatto l’uomo è stato liberato e riportato a Tripoli da uno sconosciuto il quale voleva altri soldi. Ha dovuto pagarlo ancora una volta tramite i parenti: «Altrimenti mi avrebbe venduto».
«Per migliorare rapidamente le condizioni dei rifugiati e dei richiedenti asilo rinchiusi nei centri di detenzione – suggerisce John Dalhuisen – le autorità libiche dovrebbero riconoscere formalmente il mandato dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati, firmare la Convenzione internazionale sui rifugiati e adottare una legge in materia di asilo».
Dopo la sollevazione del 2011, le milizie che si rifiutavano di deporre le armi sono state integrate nella struttura di sicurezza dello Stato come parte di un progetto di riforma. «A seguito di tali iniziative, i gruppi che operavano ancora sotto il comando delle milizie si sono trovati ben pagati e protetti dalla legittimità attraverso l’affiliazione alle istituzioni statali», osserva Amnesty. La Guardia costiera libica inizialmente non è stata “infiltrata” dai miliziani perché – storicamente impegnata nella sorveglianza della pesca – non era percepita come una forza armata prestigiosa né redditizia. Tuttavia, una volta che il movimento migratorio su vasta scala ha ripreso slancio, i membri della milizie «hanno rivolto la loro attenzione al controllo della costa». Una notizia confermata da una fonte di Amnesty con accesso regolare alle tre principali città del contrabbando (Zawiya, Sabratha e Zuwara), la quale ha raccolto prove su «un certo numero di membri di milizie che si sono uniti alle squadre di ricerca in mare della Guardia costiera».
L’episodio che ad avviso dell’organizzazione internazionale può essere annoverato come terribilmente esemplare è dello scorso 6 novembre, quando nel corso di un’operazione di salvataggio dapprima affidata alla nave dell'ong tedesca Sea Watch si aggiunse una motovedetta libica la cui presenza provocò un parapiglia tra i migranti, molti dei quali picchiati a bordo della nave libica. Vi furono numerosi dispersi in mare ma da Sea Watch riuscirono a filmare non solo i maltrattamenti e l’inpreparazione dei libici nel compiere il soccorso, ma un elicottero della Marina Italiana dovette intimare ai libici di fermarsi, mentre ripartivano con i motori avanti tutta, perché alcune persone erano rimaste aggrappate e rischiavano di venire falciate dalle eliche.