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Il bimbo di sei anni iperattivo che era stato sospeso 21 giorni dalle lezioni, stamattina è tornato nella sua scuola di Ladispoli, in provincia di Roma. Il provvedimento è stato infatti annullato dal Tar con un decreto che l'Istituto però non aveva rispettato. Il piccolo, sospeso dal 28 febbraio al 21 marzo, dopo la decisione del tribunale amministrativo si era presentato in classe il 1° marzo ma non era stato fatto entrare. Poi l'appello dei genitori al ministro dell'Istruzione Valditara che oggi invierà gli ispettori nella scuola elementare per acquisire tutte le informazioni del caso. Il bambino, prima di entrare a scuola rivolgendosi al padre ha detto: "Perché l'altro giorno non mi hanno fatto entrare?".
Va detto comunque che non si tratta di un "bullo recidivo" ma di un alunno che i certificati dell’ospedale in cui è in cura indicano affetto da «un disturbo del deficit con iperattività». Un ragazzino che dovrebbe essere sostenuto nel suo percorso di studi, come sostengono i medici. Ora il ministro dell’Istruzione e del merito, Giuseppe Valditara, vuole vederci chiaro e capire perché la dirigenza della scuola non ha ottemperato a un decreto della magistratura amministrativa.
La vicenda nasce quando la mamma e il papà del piccolo alunno il 26 febbraio si vedono recapitare una pec dalla scuola: «Vostro figlio è allontanato dalla comunità scolastica dal 28 febbraio al 21 marzo». Poche parole e neanche una spiegazione per comunicare una decisione presa dal consiglio d’Istituto di cui neanche i genitori degli altri alunni sanno nulla, anzi qualcuno - da quanto si apprende - si mostra dispiaciuto. «Il 28 febbraio deposito subito un ricorso cautelare al Tar», spiega Daniele Leppe, avvocato della famiglia. Nel ricorso si lamenta anche che la sospensione di 21 giorni è illegittima perchè «non si è tenuta in alcuna considerazione la patologia di cui soffre il bambino, che è la causa della condotta tenuta in classe, e non è stato rispettato alcun principio di proporzionalità, visto che l’allontanamento scolastico oltre i 15 giorni non è stato preceduto da altra precedente infrazione disciplinare». E si fa notare che l’alunno «non ha mai posto in essere manifestazioni aggressive nei confronti di altri bambini o degli adulti tali da giustificare misure estreme per non porre in pericolo l’altrui incolumità».
Il Tribunale amministrativo del Lazio emette il 1 marzo un decreto cautelare sospendendo il provvedimento e ordinando alla scuola di far rientrare l’alunno. Non solo: i giudici amministrativi ordinano alla scuola «a provvedere ad assegnare al minore un numero di ore di sostegno compatibile con la gravità dell’infermità da cui è affetto». I genitori infatti nel ricorso lamentavano anche che la scuola «non ha ritenuto utile affiancare all’operatore Oepa l’insegnante di sostegno» indicazione che invece veniva espressamente richiesta dall’equipe che ha in cura il bimbo «per permettere la corretta integrazione del bambino alle attività didattiche al gruppo di classe».
Ma la scuola, in un primo momento, non ha recede neanche davanti al decreto. I genitori lunedì 4 marzo portano il bimbo in Istituto ma la bidella gli sbarra il passo, «non si può». «Il dirigente neanche ci degna di una parola - aggiunge Leppe che aveva accompagnato i genitori e il piccolo -. Siamo stati costretti a chiamare i carabinieri ma il preside è stato irremovibile. A quel punto abbiamo fatto una denuncia ai carabinieri per inottemperanza ad un ordine giudiziario».
«Sono a disposizione della chiarezza e della verità. Per questo sono contento della presenza degli ispettori. Perché tutti noi siamo certi di avere fatto il meglio proprio per il bimbo», aveva sottolineato il preside Riccardo Agresti. Il preside precisa che non sapeva ancora del pronunciamento del tribunale e che «una volta letta la decisione del Tar ho dato disposizioni di non impedire l'accesso». «Se ho sentito i genitori? Alla riunione del Consiglio di classe non si sono presentati e, una volta contattati hanno affermato di essere in procinto di andare ad un funerale. Non hanno chiesto alcun rinvio. Ieri mattina sono arrivato a scuola alle 9 e ho visto padre e figlio in attesa. Ero stato chiamato per avvisarmi del problema della loro richiesta di entrare, ma la segreteria non aveva ancora aperto la posta e quindi nessuno, nemmeno io, sapeva della decisione del Tar di fermare l'allontanamento», precisa il preside.
«È arrivata una pattuglia dei Carabinieri, per cui ho atteso nel mio ufficio il loro arrivo (papà, bimbo e Carabinieri). Invece poi non è entrato nessuno e sono "spariti" tutti - il racconto del preside -. Una volta letta la decisione del Tar ho dato disposizioni di non impedire l'accesso ad alcuno e stamani mi attendevo che il papà entrasse con il bimbo ed in effetti mi sono insospettito del fatto che il bimbo non si fosse presentato. In pratica non ho avuto modo di parlare con il papà dal mio incontro con lui di un mesetto fa durante il quale il papà sembrava cadere dalle nuvole su quanto le insegnanti gli spiegavano. Nessuno impedirà l'accesso del bimbo dopo la decisione del Tar», ha ribadito Agresti. Che poi aggiunge: «Il problema reale della vicenda è semplicemente la famiglia che ritiene la scuola un babysitteraggio e se ne infischia del fatto che altri 21 bambini non stanno imparando a leggere e scrivere a causa della situazione della classe». «Occorre chiarire - conclude il dirigente scolastico di Ladispoli - che il bimbo ha 2 ore di Oepac (l'assistente comunale alla comunicazione) e che la classe ha 11 ore di docente di sostegno (come previsto dall'Atp di Roma) cui si aggiunge un'ulteriore ora che la docente preferisce svolgere in classe. Per vie traverse sappiamo che il bimbo ora ha una certificazione che illustra una situazione ben peggiore, ma questa documentazione non è mai stata consegnata alla scuola».