Charity Orichi, 35 anni, ai funerali del marito, nella chiesa di San Domenico a San Severino Marche - Ansa
È passato un anno da quando Alika Ogorchukwu, 39 anni, venditore ambulante di origini nigeriane, fu aggredito all’improvviso e pestato a morte sul marciapiede del corso principale di Civitanova Marche da una persona che nemmeno conosceva, nell’indifferenza dei passanti. Un delitto assurdo, per futili motivi, che fece scalpore. E da allora la moglie Charity Oriachi, che vive col figlio di 9 anni e mezzo in un paese dell’entroterra Maceratese, ancora non riesce a capacitarsi di quanto accaduto: «È stato un gesto incomprensibile, illogico, che ha stravolto e cambiato per sempre la mia vita e quella di Emanuel: perché quell’uomo si è comportato così? Perché tanta violenza nei confronti di una persona buona che non gli aveva fatto nulla di male? Cos’ha, nel cuore, solo razzismo?».
In questi mesi Charity ha dovuto vedere e rivedere, a fianco dell’avvocato Francesco Mantella che rappresenta la famiglia al processo, il video registrato da una telecamera di sicurezza: vi appare Filippo Ferlazzo, 33 anni, mentre insegue, raggiunge e assale il marito, buttandolo a terra per immobilizzarlo e poi colpirlo con pugni e schiaffi al viso e all’addome fino a farlo morire. In quattro minuti. E ogni volta, di fronte a quelle immagini, la donna ha rivissuto il dolore e l’angoscia provati in quel tragico pomeriggio di venerdì 29 luglio del 2022, quando un’amica la informò con una telefonata che il marito era morto. Uno choc che non ha ancora superato. Quel filmato è stato proiettato per la prima volta nell’aula del palazzo di giustizia di Macerata il 5 aprile scorso, quando in Corte d’Assise è cominciato il processo a carico dell’aggressore, un disoccupato salernitano che per quell’atto di rabbia senza ragioni ora rischia l’ergastolo: è accusato di omicidio volontario e rapina per avere sottratto alla vittima il cellulare. «Non ce l’ho fatta a resistere, sono dovuta uscire, ho pianto» racconta la vedova che da quel «maledetto giorno» non lavora più, né è riuscita a trovare finora un’occupazione adeguata alle sue possibilità. Eppure, la famiglia Ogorchukwu a San Severino Marche, dove si era trasferita dalla Nigeria oltre dieci anni fa, e nel cui cimitero Alika è stato sepolto, si sente integrata e circondata da affetto. «L’Italia ci ha accolti bene e non ce ne vogliamo andare» precisa Charity «ma non possiamo andare avanti solo con la solidarietà». La donna aveva appena iniziato a lavorare come addetta alle pulizie alla stazione ferroviaria per conto di una cooperativa ma da quando ha perso il marito non ha avuto la forza di tornare al lavoro. Nel frattempo ha cercato un altro posto, ma senza riuscirci. In provincia, con la crisi che c’è, non è facile per nessuno trovare un’occupazione e persino i giovani di qui sono costretti ad andarsene a Roma o a Milano a cercare fortuna. «E chi ci dà un lavoro a noi che abbiamo la pelle nera?» si sfoga Charity. Comunque lei ha fatto pure un corso per l’assistenza agli anziani e si propone come badante. Però, mamma e figlio abitano in via San Michele, lontano dal centro urbano e muoversi senza macchina è un problema in più. Emanuel, che frequenta la quarta elementare nella scuola della città, soffre l’isolamento e viene aiutato da uno psicologo a superare anche questo disagio. «Vorrebbe cambiare casa per stare più spesso con gli amici e giocare a pallone, la sua grande passione» commenta la madre.
Ma come vivono ora la vedova e il figlio di Alika? «Il Comune di Civitanova ha consegnato a quello di San Severino, dove i due risiedono, un fondo di 15mila euro – risponde l’avvocato Mantella – a cui ne sono stati aggiunti altri 10mila raccolti da donazioni di privati: i soldi vengono gestiti dai Servizi sociali per sopperire alle spese primarie, l’affitto, le bollette, la scuola, il cibo e i vestiti».
E oggi, in occasione dell’anniversario della morte, a Civitanova, nello spazio aperto del Teatro Cecchetti è prevista una piccola cerimonia e un momento di preghiera aperto a tutta la città per ricordare Alika. A celebrare, nel rito evangelico, sarà padre Faith, il pastore che si occupa della nutrita comunità nigeriana locale.
Intanto Charity chiede giustizia. «Sì, ma secondo la legge e non per vendetta» tiene a dire. Prossima udienza in Assise, il 20 settembre. Il legale della famiglia è fiducioso: «Potrebbe arrivare già la sentenza». Una seconda perizia psichiatrica è stata ordinata per il 9 agosto dal presidente della corte, Roberto Evangelisti, nei confronti dell’imputato, che è rinchiuso nel carcere di Pesaro. Un precedente esame sulla sua salute mentale, richiesto dalla parte civile in sede di indagine preliminare, aveva dichiarato Ferlazzo capace di intendere e di volere. Ma il quadro clinico sembra più complesso. E saranno i giudici a valutare se l’imputato merita il “fine pena mai” oppure no.