Tende e degrado nel Silos di Trieste, dove trovano sistemazione provvisoria i migranti in arrivo dalla rotta balcanica. - .
L'odore acre della legna che brucia dall'alba dentro il vecchio Silos di Trieste si respira dai giardini di piazza Libertà. L’autunno piombato all’improvviso dai Balcani rende dura la vita al popolo della strada che deve scaldarsi. Paradosso dell’ultimo anno, vengono dalla Rotta, hanno percorso il “game”, ma sono generalmente muniti di permesso o appuntamento per presentare domanda di asilo. Accanto alla stazione ferroviaria asburgica, l’immenso magazzino portuale diroccato da decenni è diventato il rifugio di almeno 150 persone accampate, perlopiù pachistani, bangladeshi, afghani aggregati su base nazionale. Bisogna passare da qui per capire dove sta andando l’Italia, dopo che da mezzanotte alla frontiera con la Slovenia verrà sospesa la libera circolazione garantita dal trattato di Schengen. Ufficialmente, come confermato dal vicepremier Antonio Tajani, per prevenire l'arrivo di terroristi dalla rotta balcanica dove sono stati segnalati tunisini, considerati dalle intelligence i più pericolosi dopo l’uccisione di Abdesalem Lassoued, il killer di Bruxelles affiliato al Daesh.
Nei giardini di piazza Libertà, invece, i volontari si alternano nel primo sostegno a chi è appena entrato nel nostro Paese dalla frontiera slovena - .
Ma costui era sbarcato a Lampedusa e non si era radicalizzato in Italia. In più, di tunisini nella zona se ne contano pochi. Sulla rotta non vengono fatte fotosegnalazioni, sostiene il governo. Ma agli operatori i migranti dicono di essere stati fotosegnalati dai croati che consegnano anche un invito a lasciare il Paese grazie al quale possono viaggiare sui mezzi pubblici. Ics, il Consorzio italiano di solidarietà che si occupa di accoglienza e che è guidato dal giurista Gianfranco Schiavone, ha espresso immediatamente perplessità sulla stretta ai confini chiarendo che «il ripristino dei controlli di frontiera non può comportare alcuna compressione o limitazione del diritto d’asilo». I respingimenti alla frontiera dei richiedenti asilo sono tassativamente vietati dal diritto internazionale ed europeo. Nel Silos, come confermato anche dall'ultimo controllo a tappeto delle forze dell'ordine un mese fa, sono quasi tutti muniti di permessi o richieste di appuntamento per presentare domanda di asilo, quindi fotosegnalati e schedati. Ma non sono accolti e si devono arrangiare in tende, proteggersi con teli, senz'acqua né servizi igienici, scaldandosi al fuoco tra topi e immondizia. La popolazione è maschile e ci sono anche minori non accompagnati raramente famiglie con bambini. La maggioranza di chi chiede asilo sono pachistani e “bangla”, le cui comunità si sono organizzate e lavorano in tutta la regione. Il 75% di chi arriva a Trieste sono invece afghani che si fermano poche ore, poi saltano sul primo treno per Milano.
Da lì la rete dei trafficanti dall'inizio del 2023 ha deviato la rotta balcanica verso Como, la Svizzera (dove i passaggi ferroviari sono in costante aumento) e quindi la Germania. La seconda tappa per capire la realtà di richiedenti asilo e rifugiati è il centro diurno della comunità di San Martino al Campo fondata mezzo secolo fa da don Mario Vatta. Ci passano un centinaio di persone al giorno almeno. Pagato dalla Cassa di risparmio di Trieste, offre a chi sta nel Silos abiti, docce, assistenza medica grazie ai volontari di Donk, wi fi e corrente per rgli smartphone. Uno di loro è A., 33enne curdo iracheno di Sulaymanyah, ha fatto l'attore, l'autista e il giardiniere e ha chiesto asilo. Arrivato in Turchia ha lavorato in nero in una fabbrica e poi ha proseguito a piedi fino a Trieste. Spiega che ogni viaggio frutta in media ai trafficanti 8mila euro e che, con le stesse modalità usate dalle bande libiche dai beduini del Sinai, chi non paga viene torturato e le donne abusate finché la famiglia non salda il debito. Gli affari si fanno sui social e, da quello che raccontano i migranti e dalle scoperte di Balkan insight, li gestiscono bande rivali di trafficanti anche di armi e droga marocchini, afghani e siriani. Tutti armati da criminali kosovari, hanno radici in Italia e in Belgio, e sarebbe interessante, per prevenire il terrorismo e mantenere la promessa governativa italiana di colpirli, approfondire i loro legami con i jihadisti. Nel centro opera questa settimana come volontario degli equipaggi di terra di ResQ il legale milanese Alberto Guariso, avvocato di tante cause vinte contro la discriminazione e per ristabilire i diritti dei più deboli. « Un terzo delle persone in questo centro è laureata - fa notare - ma il loro titolo in Italia non viene riconosciuto, mentre quello di chi entra col decreto flussi sì. È un’assurdità italiana». Il primo freddo ha provocato l’assalto al guardaroba di persone infreddolite in maglietta.
«La crisi umanitaria a Trieste - spiega Gianfranco Schiavone - è dovuta all’inefficienza della redistribuzione dei richiedenti asilo. L'anno scorso erano 5mila, quest'anno saranno di più, ma i posti sono un migliaio. Abbiamo sempre avuto un doppio sistema con una prima accoglienza in due centri gestiti dalla Caritas con famiglie e vulnerabili e poi l'ingresso in accoglienza diffusa. A ciò seguiva il trasferimento sul territorio nazionale, entrato in crisi un anno fa. I numeri crescono, dai 13mila del 2022, probabilmente arriveremo a 15-16mila a fine anno, ma non è un’emergenza. Crediamo ci sia invece la volontà politica di non rispondere alle esigenze del confine orientale per dissuadere la gente dal rimanere a Trieste e in Italia facendo percepire alla popolazione locale un senso di assedio e invasione per tornare ai respingimenti ». Un’emergenza, qui come in tutto il territorio nazionale, è il boom dei minori non accompagnati la cui età media si è abbassata alla fascia 14-16 anni che una volta scandalizzava « Ne passano almeno otto al giorno - spiega Giulio Zeriali che per Diaconia valdese monitora il confine orientale -, circa il 20% degli arrivi della rotta balcanica». I mediatori hanno incontrato al centro diurno bambini anche di 8-9 anni. Sono tutti afghani, mandati dalle famiglie in Germania da parenti o amici per costruirsi un futuro. Fanno spesso tappa in Turchia dove lavorano nelle fabbriche tessili. Sono inafferrabili, giunti al 90% del loro viaggio e spesso dichiarano di essere maggiorenni per non avere vincoli creando il paradosso dei “falsi adulti “. Nessuno sa quanti giungano a destinazione.
L’ultimo baluardo è la piazza del mondo, piazza della Libertà dove all'imbrunire arrivano i volontari di Linea d'ombra per distribuire coperte e pasti a chi non è riuscito a salire fino alla mensa Caritas e per curare i piedi piagati dal “game”. Arrivano all’improvviso, i primi dopo anni, due gruppi di africani, una famiglia di congolesi con un bambino e 10 ragazze con due uomini dalla Sierra Leone. Tocca ai volontari trovare loro improvvisati rifugi per qualche ora, sostituendo le istituzioni per non abbandonare questa umanità.