Servizi sociali senza risorse, mancanza di reti d’accoglienza, associazionismo da rilanciare: ecco le cause di un problema che non si può più eludere Il presidente del Tavolo nazionale affido, Marco Giordano: siamo partiti in otto Regioni ma finora solo Lazio e Campania hanno avviato prassi concrete per sostenere i servizi alle famiglie fragili
La maggior parte dei minori adottabili ma non adottati e che quindi si trovano ancora parcheggiati in comunità e in case famiglia, in attesa di una mamma e di un papà a 'tempo pieno', vive al Centrosud. Il quadro emerge dall’ultima elaborazione del ministero della Giustizia con i dati forniti dai 29 Tribunali per i minorenni. Fragilità dei Servizi territoriali, impossibilità da parte dell’associazionismo di incidere in modo determinante, scarse risorse dei tribunali stessi ma anche, ridotte disponibilità all’adozione da parte delle famiglie, contribuiscono a tracciare ancora una volta il profilo di un Paese a due velocità.
Se a Milano – secondo gli ultimi dati forniti dal ministero della Giustizia – c’è un solo minore dichiarato adottabile in attesa di una famiglia, a Firenze 3, a Brescia 5, a Bolzano 1, a Trento 4 e Genova addirittura nessuno, le cifre del Centrosud appaiono decisamente più preoccupanti. I minori sono 59 a Catania e a Napoli, 21 a Cagliari, 27 all’Aquila, 32 a Palermo, 34 a Roma. Certo, esistono anche al Sud isole felici come Taranto (3) e Salerno (1), mentre al Nord ci sono casi come Torino (20 minori in attesa) e Bologna (37) che sembrerebbero rimescolare le carte. Ma si tratta di eccezioni che confermano la regola. In totale nel nostro Paese sono 424 i minori in attesa di famiglia.
Ogni anno sono circa un migliaio i piccoli abbandonati alla nascita, quasi dieci volte tanto le famiglie in attesa. Per la maggior parte i tribunali competenti provvedono a rilasciare in pochi giorni il decreto di adottabilità. Ma esistono situazioni più complesse, legate per esempio all’esistenza di patologie psicofisiche, sono i cosiddetti bambini special needs (con bisogni speciali), per i quali l’adozione non è così immediata. Ma può essere che al Nord questi piccoli riescano comunque a trovare una famiglia disponibile all’adozione e al Centrosud esistano tante difficoltà? Sarebbe ingiusto inventare una classifica geografica della generosità perché il dato nasce evidentemente da una complessità di cause che investono innanzi tutto la diversa efficienza dei servizi sociali, la possibilità di intervento delle amministrazioni, l’esistenza di reti di volontariato sul territorio in grado di supportare l’impegno degli enti. L’aspetto drammatico è che questo divario è noto da tempo.
Di anno in anno i dati si modificano per poche unità, ma restano più o meno costanti. «Consapevoli di questa situazione – racconta Marco Giordano, presidente del Tavolo nazionale Affido – una cordata di una dozzina di sigle nazionali (Forum delle associazioni familiari, Cnca, Cncm, Associazione Giovanni XXIII, Anfaa, Cismai, Progetto Famiglia, ecc), ha dato vita quattro anni fa a 'Donare futuro', una campagna per la tutela del diritto dei bambini ad avere una famiglia ».
Obiettivo quello appunto di colmare un divario tra le diverse opportunità offerte ai 'bambini adottabili' tra Nord e Sud. Il progetto è partito con un esame approfondito degli indicatori ministeriali. Che hanno confermato, con il linguaggio inequivocabile dei numeri, ciò che era già noto per esperienza diretta. Le regioni più fragili erano e rimangono le otto del Centro-Sud, dal Lazio in giù, con una precarietà dei servizi di tutela alla famiglia – già mediocre in Italia rispetto al resto d’Europa – che diminuisce man mano che si scende verso il Meridione.
Il dato più preoccupante è il rapporto tra numero di minori inseriti in affido e minori inserito in comunità. «Perché questo dato è indicativo? Perché l’esistenza di una comunità – riprende Giordano – non è merito di un servizio territoriale che ha organizzato e coordinato l’intervento. E in ogni caso la comunità, quando esiste ed è magari anche efficiente, è comunque risposta tardiva a un problema che non si è saputo prevedere». Sulla base di questi dati è stato tracciato un programma in cinque punti che è stato accettato dalle Regioni, in cui si punta a migliorare i servizi di tutela alla famiglia fragile, con particolare riguardo a tutto quanto ruota intorno all’adozione e all’affido.
Purtroppo, quatto anni dopo, solo Lazio e Campania hanno fatto qualcosa. «Potrebbe sembrare un dato sconfortante ma – osserva ancora il presidente del Tavolo nazionale affido – il solo fatto di aver posto la questione e di aver raccolto il consenso delle Regioni rimane un punto di non ritorno ». Perché in questi anni le manovre di incontro e di proposta per arrivare a fare passi in avanti non si sono mai interrotte. «Abbiamo costruito otto segreterie regionali che (sette perché in Basilicata non siamo riusciti ad attivare quasi nulla) che – riprende Giordano – sono incaricate di tenere i raccordi con le istituzioni. Qualche risultato è stato fatto, anche se l’unica Regione in cui qualcosa sta funzionando è il Lazio, dove è partito un corso intensivo rivolto a 100 operatori dei Servizi territoriali su come far partire e seguire l’affido familiare. Metà delle regioni si è attivata sull’aspetto dei tavoli, altre li hanno istituiti e poi mai convocati».
Altra cosa positiva sta avvenendo in Campania e riguarda proprio l’adozione dei bambini con disabilità o con problematiche particolari. La Regione si è attivata con una delibera specifica che dovrebbe arrivare a giorni e istituisce un percorso sperimentale che mette insieme le associazioni specifiche e dice in sintesi: siete autorizzate a interagire con i servizi territoriali e con i tribunali per i minorenni affinché laddove ci sono bambini dichiarati adottabili ma non adottati da almeno sei mesi, si possano tentare strade più dirette per cercare famiglie disponibili, comprese le reti familiari, le associazioni, ma anche verificando le opportunità offerte da altri bacini. «Con questo primo atto – ricorda l’esperto – le associazioni potranno contare anche su risorse economiche per realizzare supporti specialistici di accompagnamento per questi bambini».
Non saranno aiuti a pioggia ma interventi mirati alle famiglie accoglienti o alle reti familiari perché questi piccoli hanno tutta una serie di carichi di cura che difficilmente due genitori da soli potrebbero sostenere. «Se guardiamo la strada percorsa – conclude Marco Giordano – c’è tanto di positivo per quanto riguarda la progettualità delle associazioni, mentre per quanto riguarda le risposte concrete siamo solo all’inizio. Ma oggi in alcune realtà è già positivo mettere in evidenze le urgenze e ottenere il consenso delle istituzioni. E noi non ci arrendiamo».