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Bambini africani abbracciati dai genitori adottivi appena atterrati all'aeroporto di Ciampino - Ansa
Sotto la pioggia battente, una coppia di aspiranti genitori si presenta al Tribunale per i minorenni di via Leopardi a Milano. È attesa per un incontro programmato nell’ambito del percorso di adozione che sta seguendo. L’appuntamento è alle 10 ma i due, un po’ per l’ansia del momento, un po’ per sfuggire al maltempo, arrivano con largo anticipo. La risposta è di quelle che sconcerta: «Tornate un minuto prima del vostro appuntamento, non ci sono sale d’aspetto disponibili». E loro, non potendo fare altro, si adeguano. Nulla di grave, certo. Ma se sommiamo questo piccolo episodio al fardello di incombenze, di lungaggini burocratiche, di costi spesso ingenti, di attese altrettanto snervanti, di verifiche, di contrattempi che rendono il cammino verso l’adozione qualcosa di molto vicino all’eroismo, abbiamo un motivo in più per comprendere il calo delle coppie disponibili ad aprire la porta di casa a un minore in difficoltà.
Succede a Milano, succede nel resto d’Italia. La situazione milanese, comune a tutta la Lombardia, era stata già denunciata dalla presidente del Tribunale per i minorenni del capoluogo ambrosiano Maria Carla Gatto, nel corso del Forum sull’affido organizzato da Avvenire all’inizio di dicembre. Un allarme poi raccolto da altri media. Sabato, all’inaugurazione dell’Anno giudiziario, il presidente della Corte d’appello, Giuseppe Ondei, ha confermato i dati allarmanti. Al Tribunale per i minorenni di Milano ci sono oltre 13mila pratiche giacenti che non riescono ad essere evase. La stima dei giorni necessari per risolvere un caso ha superato quota 800, oltre due anni e mezzo. Soltanto due anni fa eravamo a poco più di 500. Una misura intollerabile visto che parliamo di situazioni che riguardano bambini anche di pochi anni per i quali ogni giorno in più può trasformarsi in un peso insostenibile.
Ma i magistrati minorili alzano le braccia, di più non si può fare. La carenza di organici, più volte denunciata, rende impossibile agire diversamente. E poi ci sono gli obblighi imposti dalla riforma Cartabia a stabilire la gerarchia degli interventi. Se i casi cosiddetti “indifferibili e urgenti” – tutti quelli relativi alla responsabilità genitoriale e all’allontanamento coatto dalle famiglie d’origine relativi all’articolo 403 del codice civile – vanno affrontati e risolti in tempi brevissimi, comunque nell’arco di 48 ore, i giudici minorili non hanno il tempo per occuparsi d’altro. Un blocco che allunga i tempi di tutte le procedure e si riverbera anche sui servizi sociali.
«Tutte le risorse – spiega Maria Carla Gatto – sono di fatto assorbite dalle urgenze. E così la riforma, tra tutte le altre difficoltà, rende impossibile offrire a quei bambini che ne avrebbero bisogno, quella progettualità necessaria a un percorso adottivo adeguato». E questo spiegherebbe il motivo per cui oggi a Milano una trentina di bambini aspetta i genitori che li vogliano adottare e non li trova? Quasi tutti piccolissimi con meno di sei anni, compreso un neonato? «No – risponde la presidente del Tribunale per i minorenni –. sarebbe troppo semplice stabilire una connessione tra il caos determinato dalla riforma e il crollo delle disponibilità da parte delle famiglie. Se non vogliamo semplificare colpevolmente una questione di grande complessità, dobbiamo pensare anche ad altre motivazioni». Per esempio, la crisi demografica, ma anche le difficoltà culturali e relazionali che rendono sempre più vaga la consapevolezza della genitorialità. Senza dimenticare il crollo dei matrimoni, l’età sempre più avanzata delle coppie che si avvicinano all’idea di un figlio, la crisi economica. E tanto altro ancora.
Così siamo arrivati a questo punto: nel 2004 le domande per l’adozione nazionale erano state 1.425, con 148 bambini dichiarati adottabili (di questi, 65 da mamma «ignota»). Nel 2024 le domande sono crollate a 419, e i adottati bambini a 78 (di cui 26 da mamma che non vuole farsi nominare). Bastano ragioni sociali, culturali e demografiche per spiegare tutto questo? Le istituzioni non hanno proprio nessuna colpa? «Ma certo che ce l’hanno – interviene Marco Griffini, presidente Aibi, cinquant’anni di esperienza nel mondo dei minori in difficoltà – e basta raccontare questo particolare. Quando dobbiamo portare in prefettura per la validazione i documenti delle coppie che stanno seguendo le procedure per l’adozione internazionale, abbiamo un limite invalicabile, tre casi per volta. Se ci presentiamo con i documenti di quattro coppie veniamo rimandati alla settimana successiva. Solo per mettere insieme un fascicolo passano mesi. Poi non lamentiamoci se le coppie si dicono scoraggiate».
Eppure, nonostante tutte le difficoltà, nonostante numeri che sembrano andare in senso contrario, sta per arrivare una notizia che scombina tutta la questione. Nel 2024 il numero delle adozioni internazionali dovrebbe far segnare un aumento del 10% rispetto all’anno precedente. Una crescita, pur minima ma che segna una clamorosa inversione di tendenze dopo un decennio di crisi. I dati dovrebbero essere confermati dalla Cai (Commissione adozioni internazionale) nei prossimi giorni. «Se poi calcoliamo solo le adozioni portate a termine dai primi dieci enti autorizzati – riprende Griffini – l’aumento dovrebbe essere vicino al 30%». E naturalmente vale anche per Milano e Lombardia.
Un dato che sembra rimescolare tutto il ragionamento sulla disponibilità delle coppie all’accoglienza di un bambino in difficoltà. Ma Griffini ha una spiegazione. «Sull’adozione nazionale e sull’affido pesano due grandi incertezze, che non ci sono invece sull’adozione internazionale. Innanzi tutto l’introduzione dell’adozione aperta che sta mettendo sulle spalle delle famiglie pesi non sostenibili. Basti pensare all’obbligo di mantenere i rapporti con i genitori naturali del minore che, come si può facilmente immaginare, non sono mai agevoli». E l’altra incertezza? «La ricerca delle origini biologiche. Chiediamoci come mai, anche a Milano, sono crollanti i parti in anonimato. In vent’anni si sono ridotti di due terzi. C’è da riflettere. E da correre ai ripari».