Fotografie dei volontari di 'Wave of Hope'
Passano di tenda in tenda per invitare uno a uno i bambini del campo, se li fanno affidare dalle famiglie, per poi riaccompagnarli al termine di ogni attività: gli insegnanti dell’organizzazione 'Wave of Hope', rifugiati loro stessi, ce la mettono davvero tutta, in un posto dove di speranza ne è rimasta poca. Dove occorre ogni mattina fare uno sforzo per trovarne un po’ dentro di sé e per convincersi che quel posto così inospitale sia davvero Europa.
Circa 19.100 rifugiati e richiedenti asilo (il 28% ragazzi e bambini) vivono oggi su questa e sulle altre isole greche dell’Egeo, primo approdo europeo incontrato dopo essersi lasciati alle spalle le coste turche. All’interno del campo di Moria, sull’isola di Lesbo, 'Wave of Hope' aveva avviato una scuola di lingua e arte per 2.600 studenti, adulti e bambini. Da quando a settembre una serie di roghi ha distrutto la tendopo-li, gli insegnanti volontari svolgono le attività per i più piccoli all’aperto, nel nuovo campo d’emergenza di Kara Tepe. «Le condizioni di vita sono davvero critiche, la scorsa settimana ha piovuto per 4 giorni consecutivi, e l’acqua è arrivata dentro le tende.
sassi e disegni lasciati in riva al mare, da dove molti di loro sono sbarcati/ - Fotografie dei volontari di 'Wave of Hope'
Molte famiglie che erano a Moria vivono così da 15 mesi o più. Conosco bambini, nati sull’isola, che mai hanno visto una casa» ci racconta Abdull Qudos, 23 anni, afghano, un tempo studente alla Medical University di Karachi in Pakistan, e ora uno dei 7.400 sfollati a Kara Tepe, di cui 2.500 minori. Abdul oggi è il coordinatore della scuola di 'Wave of Hope'. «Senza attività, i bambini resterebbero seduti nelle tende, con nulla da fare. Abbiamo ragazzini di 10-12 anni che imparano a parlare e scrivere molto bene in inglese o in altre lingue. Questo, per me, significa cambiare le cose». Fino al 2015 a Lesbo si approdava per proseguire, prima possibile, verso nord. Negli ultimi anni, però, politiche europee sempre più rigide, insieme a un controverso accordo con la Turchia, hanno obbligato tutti a restare, in attese infinite e durissime.
Moria prima e Kara Tepe poi hanno rappresentato anche veri incubatori di violenza inimmaginabile: l’ultimo terribile episodio è del 14 dicembre, quando una bambina di tre anni è stata trovata priva di sensi, nel fango dei bagni del campo. L’ipotesi della polizia è che si sia trattato addirittura di un caso di stupro, un dramma inconcepibile ora oggetto di indagine delle autorità. «La violenza sui bambini, sulle donne ma anche sugli uomini era frequente dentro il vecchio campo. Lì per le condizioni del terreno, la folta vegetazione e gli spazi ampi dove trovare nascondigli, questi episodi già avvenivano ma passavano sotto silenzio » ci spiega da Lesbo l’attivista indipendente Nawal Soufi che bene conosce le dinamiche, anche quelle più oscure, delle tendopoli dell’isola. «Adesso che a Kara Tepe si è più allo scoperto, ci si scandalizza. Ma di ciò che accadeva già prima in tanti sapevano».
Anche senza spingersi al caso estremo dell’abuso sessuale, i bambini del campo portano addosso segni profondi di disagio: l’organizzazione Medici senza Frontiere, che sull’isola ha un centro di salute mentale, denuncia in questi giorni di aver trattato, nel 2020, 49 casi di bambini e ragazzi con intenzioni suicide. «Dopo l’incendio e il trasferimento nel nuovo campo, i nostri psicologi infantili hanno continuato a riscontrare sintomi profondamente preoccupanti, tra cui sonnambulismo, incubi, comportamenti regressivi, autolesionismo, sintomi depressivi e alcuni casi estremi di psicosi reattiva» denuncia l’organizzazione. «Lo vediamo anche noi, molti bambini sono depressi» conferma Abdull Qudos. «Durante i giochi e le nostre attività accade che, quando ci rivolgiamo a loro, i bambini non rispondano. Una volta iniziata la lezione o il gioco, però, spesso i loro comportamenti cambiano: dal silenzio iniziale ricominciano a parlare. Capita di vedere anche i sorrisi».
Bimbi in cerchio durante le attività a Kara Tepe e durante un incontro con i volontari - Fotografie dei volontari di 'Wave of Hope'
Le tende di Kara Tepe, non attrezzate per l’inverno, dovevano essere temporanee. Eppure la Commissione Europea ha da poco annunciato un calendario condiviso con la Grecia per la costruzione del nuovo centro di identificazione di Lesbo: sarà pronto a settembre 2021, cioè tra nove mesi. Intanto gli sbarchi proseguono, pur in misura minore rispetto al passato anche per le frequenti operazioni di respingimento (illegale) dei gommoni dalle acque territoriali greche verso quelle turche (talvolta persino di persone già approdate sull’isola). Secondo l’Ong Aegean Boat Report quest’anno, in tutto l’Egeo, sono stati 308 i casi registrati, con 9.442 persone coinvolte. Uno degli ultimi episodi è avvenuto la Vigilia di Natale: «Una barca che trasportava 21 persone ha contattato Aegean Boat Report la scorsa notte alle 22.35. Era alla deriva a nord di Lesbo da ore, dopo che una nave della guardia costiera ellenica aveva rimosso il motore.
Diverse persone a bordo erano state duramente picchiate per aver cercato di impedire la rimozione del motore» denuncia la Ong. Sulla questione, 29 organizzazioni per i diritti umani (tra cui Human Rights Watch e Amnesty International) a ottobre avevano inviato una lettera aperta ai membri del parlamento ellenico per chiedere un’indagine. Nell’Egeo, dunque, o si viene respinti o si rischia la vita in mare (l’ultimo naufragio è del 18 dicembre, una donna è morta), oppure, una volta arrivati di là, il destino è davvero amaro. E allora, fra le tende, la speranza può anche arrivare da un’ora passata a giocare insieme o a imparare qualche parola d’inglese, che tornerà utile quando un giorno – bisogna per forza continuare a crederci – si riuscirà ad andare altrove.