L'esito del voto al Senato certifica che la maggioranza di governo non esiste più. Fi, Lega e M5s hanno negato la fiducia - Ansa
Alla fine di una giornata lunghissima è arrivata la fiducia al governo al Senato, ma senza il voto di Forza Italia, Lega e M5s. Così la maggioranza che sosteneva Mario Draghi si è dissolta. I 95 voti a favore a Palazzo Madama sono troppo pochi. Il premier domani mattina, alle 9, sarà alla Camera come previsto. Poi salirà al Quirinale. Secondo alcune agenzie di stampa, Draghi non vorrebbe aspettare il voto di fiducia a Montecitorio, ma andrebbe direttamente a rassegnare le dimissioni dal Presidente della Repubblica.
Governo e legislatura sono giunti alla fine e Salvini ha già convocato per stasera i parlamentari della Lega, mentre Giorgia Meloni e il suo partito festeggiano. La corsa alle elezioni è già iniziata.
LA REPLICA DI DRAGHI NON CONVINCE FI E LEGA
Nella sua replica al Senato, Mario Draghi ricostruisce i passaggi dalla mancata fiducia M5s di giovedì scorso a oggi. Le dimissioni. Il rinvio alle Camere da parte di Mattarella. La decisione di proporre un nuovo patto, con voto delle aule, per non ignorare la spinta del Paese per la continuità del governo. E infine, la richiesta di porre la questione di fiducia sulla risoluzione di Pier Ferdinando Casini: "Ascoltate le comunicazioni del Presidente del Consiglio, il Senato le approva". Gli altri testi, come quello di Lega e Fi che chiedono un governo-bis con rimpasto e nuovo programma, non rappresentano la sua linea. Mentre sulle puntualizzazioni espresse in aula da M5s, il premier risponde in modo più che secco: "il Reddito di cittadinanza se funziona è buono, se non funziona è cattivo". E sul Superbonus la colpa delle attuali difficoltà delle imprese è di chi "ha scritto la norma senza discernimento". A un fronte trasversale che gli ha imputato scarsa sensibilità verso le prerogative parlamentari, il premier ha replicato: "Ho sempre rispettato la democrazia parlamentare, in cui mi rivedo, perciò la decisione spetta a voi". Nella replica infine Draghi rivendica la scelta del governo di non essersi espressa su temi come lo Ius scholae e la cannabis.
Risposte breve e pesanti che annunciano quanto sarebbe accaduto poco dopo, quando i gruppi hanno fatto le loro dichiarazioni di voto sulla fiducia chiesta dal premier. I partiti al centro della crisi, M5s, Lega e Fi, hanno annunciato di non partecipare al voto di fiducia. I senatori pentastellati, però, rispondono con la formula "presente non votante", che dovrebbe garantire al contempo di raggiungere il numero legale e di far valere i "si" alla fiducia dei partiti che restano in aula. Confermeranno la fiducia a Draghi Pd, Ipf, Iv, Leu e Autonomie.
Ascoltate le dichiarazioni dei capigruppo, Mario Draghi ha lasciato l'aula del Senato senza attendere l'esito.
I 90 MINUTI PER CONVINCERE IL PREMIER A NON LASCIARE SUBITO
Alla fine è Forza Italia a chiedere i tempi supplementari. Quando la discussione generale al Senato sulle comunicazioni di Draghi stava per concludersi, e il premier stava per formulare la sua replica, il gruppo di Berlusconi ha chiesto 90 minuti di sospensione della seduta. Perché per come si è svolto il dibattito, l'ipotesi più plausibile era che il premier, dopo aver preso atto giovedì scorso della "non fiducia" di M5s, prendesse atto anche della posizione nettissima di Lega e Fi (o un governo nuovo senza M5s con nuovi ministri e nuovo programma oppure il voto). E di fronte al secondo dato oggettivo di dissoluzione delle larghe intese in meno di sette giorni, il premier non avrebbe potuto fare altro che confermare le dimissioni e salire al Colle, aprendo le porte al voto anticipato. I 90 minuti di sospensione della seduta di Palazzo Madama, accordati dalla presidente Casellati, aprono l'ultimissima e fragilissima trattativa per evitare lo scioglimento delle Camere. Passaggi delicati e molto complicati in cui è coinvolto anche il Quirinale, come confermano i colloqui tra Sergio Mattarella e i leader di partito. E sembra esserci un'impronta quirinalizia anche nella decisione, annunciata da Palazzo Chigi e poi confermata da Draghi nella replica, di prendere decisioni dopo aver atteso il voto di fiducia. Il che aprirebbe ad uno scenario sinora non preventivato: l'emergere di senatori non solo 5s, ma anche di Lega e Fi, che voterebbero in dissenso dai propri gruppi, creando una maggioranza "draghiana".
D'altra parte le comunicazioni del mattino al Senato di Mario Draghi, bivio tra prosecuzione della sua azione di governo e voto anticipato, sono state anche le prime in cui il premier ha alzato in modo netto i toni con i partiti. E dopo giorni in cui i leader hanno fatto l’elastico tra condizioni e disponibilità, tra chiusure e aperture, è stato il premier a dettare le proprie condizioni. A dettarne una, in particolare: “Ricostruire da capo il patto” che si è rotto formalmente giovedì scorso, con la decisione di M5s di non votare la fiducia al governo, ma che, osserva il presidente è il Consiglio, si è “sfarinato” da mesi, con responsabilità diffuse. In particolare, il dito del premier è sembrato essere puntato soprattutto verso la Lega di Salvini. Dal punto di vista politico, Draghi non lascia molti indizi sulla propria volontà, non fa capire se è propenso a continuare solo e unicamente “con tutti” o anche “con chi ci sta”. La sua chiosa è una domanda alle forze politiche: “Voi ci state a ricostruire il patto?”. La risposta, secondo il premier, i partiti la devono dare al Paese e alla “mobilitazione” degli ultimi giorni, “impossibile da ignorare”.
NON SOLO M5S: ANCHE LA LEGA PORTA DRAGHI AL BIVIO. E FI LA SEGUE
I toni del discorso di Draghi hanno fortemente influenzato il dibattito al Senato: già durante le comunicazioni del premier arrivavano mugugni dai banchi M5s, ma il discorso del premier è parso molto esigente, stringente, anche verso Matteo Salvini. Dal quartier generale M5s sono già arrivate risposte tendenti al negativo: "Draghi ha aperto pochissimo, quasi nulla". Ma forse il segnale più forte è un altro: non solo M5s, ma anche Lega e Fi hanno ritirato tutti gli interventi dei senatori iscritti a parlare. Per il Carroccio prende la parola solo il capogruppo Massimiliano Romeo. Per Forza Italia parla Maurizio Gasparri e non la capogruppo Ronzulli. Anche in M5s invece non interviene la capogruppo Mariolina Castellone, ma il "contiano" Ettore Licheri. L'altro segnale pentastellato è l'assenza dei ministri 5s sui banchi del governo.
Ma il fatto che il centrodestra di governo abbia ritirato gli interventi è considerata una risposta alle decise punture di Draghi a Salvini. I leader di Lega e Fi si sono immediatamente riuniti a Villa Grande, ospiti di Silvio Berlusconi, per valutare il da farsi rispetto al governo. Giorgia Meloni, leader di Fdi, li incita a uscire dalla maggioranza: "Draghi al Senato ha chiesto i pieni poteri".
Poi, quando il presidente dei senatori leghisti, Massimiliano Romeo, prenda la parola, arriva la conferma della "linea dura" della Lega: il Carroccio chiede di prendere atto di una maggioranza senza M5s, di fare un "governo nuovo", di procedere a un rimpasto che, per la Lega, dovrebbe mettere in discussione la ministra dell'Interno, Lamorgese. E di inserire in agenda temi del centrodestra come la flat tax e la pace fiscale. Per Romeo e per la Lega, Draghi deve chiarire se il suo discorso mira a "preservare il campo largo" o a "salvare il Paese". È da giorni che il Carroccio alimenta il sospetto che il premier stia agendo in un rapporto privilegiato con i dem. E dopo l'intervento di Romeo, le agenzie segnalano che Draghi avrebbe lasciato l'aula per un punto con i ministri. Poco dopo l'intervento di Romeo, la Lega consegna una risoluzione con cui annuncia il proprio sostegno solo "a un nuovo governo profondamente rinnovato nelle scelte e nella composizione", guidato ancora da Draghi. Pochi minuti ancora e il centrodestra di governa emana una nota simile. Sono passaggi che oggettivamente avvicinano il voto anticipato perché le condizioni poste da Fi-Lega non sembrano ricevibili dal Pd. Quando poi a confermare la posizione del centrodestra di governo è anche, per Forza Italia, Maurizio Gasparri, si intuisce che Lega e Fi si sono ricompattate in un "aut aut" al presidente del Consiglio.
I 5S MENO DURI DEL PREVISTO: DRAGHI CAMBI PASSO. PD E RENZIANI: FIDUCIA PIENA
La lite centrodestra-Draghi quasi mette in secondo piano quello che dovrebbe essere l'intervento più importante della giornata, quello del pentastellato Licheri. L'ex capogruppo dei senatori 5s evidenzia a Draghi le pesanti condizioni messe dal centrodestra per continuare, gli chiede un "cambio di passo" rispetto alla questione sociale e, sulla politica estera, pur confermando la linea atlantista di M5s, mette in guardia dai rischi di un'escalatio che potrebbe arrivare "armando, armando e ancora armando". Nel complesso, M5s sembra fare perno sulla lite tra Draghi e centrodestra di governo, ammorbidendo i toni ma non tanto da far pensare a un ritorno in maggioranza.
I dem, a loro volta, nei numerosi interventi in aula, risultano essere gli unici, insieme ai senatori di Renzi, Toti e Di Maio, a mettere a disposizione di Draghi una "fiducia" sul programma illustrato in aula dal premier, senza porre condizioni.
I 90 minuti di ulteriore riflessione, quindi, tornano utili a tutti: il voto anticipato è davvero a un passo.