Il campionario di menzogne, omissioni, depistaggi, perfino di omertà, conferma quanto sul «caso Bija» ci sia molto da scoprire. È trascorso quasi un mese dalle rivelazioni di Avvenire sulla presenza del comandante al Milad durante incontri con autorità italiane nel 2017. Ma la maggior parte dei chiarimenti manca ancora. Unica certezza, Milad noto come Bija è ufficialmente al timone della cosiddetta Guardia costiera di Zawyah, per merito degli accordi sull’asse Tripoli-Roma-Bruxelles, che non impediscono ai boss libici la piena libertà di manovra. Il ministro dell’Interno di Tripoli sabato scorso aveva ribadito la validità di un mandato di cattura per Milad. Il giorno dopo la Guardia costiera libica lo aveva smentito, assicurando che Bija era tornato al suo posto.
Il rinnovo del Memorandum firmato il 2 febbraio 2017 scatta oggi per effetto del silenzio-assenso. Il ministro degli Esteri Luigi Di Maio assicura di voler introdurre modifiche all’intesa per «rafforzare le condizioni per i migranti, migliorarle di molto sia nei centri sia nella gestione dello sbarco, quando la Guardia Costiera li salva in mare». Quella stessa Guardia costiera che secondo l’Onu è coinvolta nella cattura dei naufraghi allo scopo di rivenderli ai trafficanti. Contro la conferma del patto italo-libico diverse organizzazioni hanno avviato un "bombardamento" sul premier Conte, inviando migliaia di email di protesta. Ecco i principali punti da chiarire.
1. Chi erano i membri della delegazione libica?
Né da Tripoli né da Roma è mai stata divulgata la composizione della rappresentanza partita dal Paese nordafricano. Incrociando le informazioni da fonti ufficiali, che continuano a implorare l’anonimato, e analizzando le immagini pubblicate si è avuta la certezza che dalla Libia fossero arrivate almeno 13 persone. Documenti anche in nostro possesso chiariscono che si trattava di emissari del ministero dell’Interno e di altri dipartimenti del governo del premier al-Serraj. Una foto ufficiale li ritrae a Roma presso il comando della Guardia costiera italiana. Perché allora non divulgare nomi e incarichi?
2. Da chi sono stati selezionati i componenti della delegazione?
Fonti del governo italiano di allora e altre dell’attuale configurazione del ministero dell’Interno hanno sostenuto che i libici sono stati invitati dall’Organizzazione mondiale delle migrazioni. Ma dall’agenzia Onu assicurano di non aver avuto voce in capitolo nella scelta dei componenti, individuati da Tripoli e accettati dall’Italia.
3. Chi ha fatto circolare la falsa notizia sui documenti contraffatti di Bija?
Fonti anonime rilanciate da alcune agenzie di stampa, subito dopo la pubblicazione delle immagini scattate nel Cara di Mineo durante una riunione a porte chiuse con gli ospiti libici, hanno dichiarato che Bija avrebbe raggirato le autorità consolari. Invece al Milad era arrivato con passaporto autentico e un regolare visto concesso dall’ambasciata italiana a Tripoli. Intervistato la settimana scorsa da Francesca Mannocchi per Propaganda Live e per l’Espresso, Bija ha addirittura sostenuto di essere stato «intervistato» negli uffici consolari che lo hanno poi autorizzato a partire. Nessuna smentita è pervenuta. Ma non si sa quale sia stato il contenuto di quella «intervista».
4. Quale è stato il programma di viaggio della delegazione libica?
Da nostre ricostruzioni, il gruppo arrivato da Tripoli era il 9 maggio a a Roma, l'11 a Mineo, nel Catanese, e il 15 maggio sarebbero rientrati in Libia. Bija ha sostenuto di avere visitato varie regioni italiane, ma resta un buco di almeno quattro giorni.
5. Quali ministeri sono stati visitati. Quali funzionari ha incontrato? A quale scopo?
Sovrapponendo varie fonti, si apprende che i libici si sono recati anche al ministero dell’Interno e presso quello della Giustizia. È da escludere che possa esservi stato un colloquio con gli allora ministri, ma perché mantenere ancora riservata l’esistenza di quei meeting e il loro contenuto?
6. L’Italia poteva non sapere chi fosse Bija?
È stato sostenuto che all’epoca Milad, accusato da inchieste giornalistiche e report di organizzazioni umanitarie, non era perseguito da provvedimenti Onu. Eppure, solo pochi giorni prima della visita in Italia, il Centro alti studi del Ministero della Difesa lo indicava tra i capi del traffico di esseri umani coinvolto anche nel contrabbando di idrocarburi.
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