Vita

Camera. La proposta di legge di Carfagna: utero in affitto sia reato anche all'estero

Antonella Mariani mercoledì 22 luglio 2020

I bambini parcheggiati in hotel a Kiev in attesa della fine del lockdown

L'utero in affitto come il turismo sessuale: illegale in patria, sia considerato reato anche quando un cittadino italiano vi fa ricorso all’estero. È composta di un solo articolo la proposta di legge depositata ieri dalla vicepresidente della Camera, Mara Carfagna (Forza Italia): si tratta di estendere la perseguibilità del reato di surrogazione di maternità, già previsto dalla legge 40 del 2004 sulla procreazione assistita, anche a chi varca i confini. La pena prevista per chi aggira la norma sarebbe la stessa: «Reclusione da tre mesi a due anni e multa da 600mila a un milione di euro».

Un deterrente potente a una pratica che ogni anno porta centinaia di coppie italiane, eterosessuali e omosessuali, ad alimentare un business internazionale milionario, che «offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane», come ha peraltro stabilito la sentenza della Corte costituzionale del dicembre 2017. I Paesi che consentono la maternità surrogata agli stranieri sono ormai pochi, dopo le restrizioni introdotte da India, Thailandia, Nepal e altri.

In Europa il mercato di elezione per le coppie eterosessuali è l’Ucraina, dove commissionare un figlio a una delle decine di agenzie di intermediazione può costare dai 30 ai 50 mila euro, di cui circa 15mila finiscono nelle tasche della madre gestante (in California, dove sono ammesse anche le coppie omosessuali, si arriva a spendere tre volte tanto). Non è un caso: laddove c’è più povertà, il reclutamento e lo sfruttamento di giovani donne è più diffuso e a basso prezzo. I contratti in uso sono tutti a favore dei committenti: per 9 mesi la gestante perde il controllo sul suo corpo, mette a repentaglio la sua salute e al termine della gravidanza il legame intimo stabilito con il nascituro viene irrimediabilmente troncato, senza possibilità di ripensamento.

Non si può non collegare la proposta di legge a quanto avvenuto nel maggio scorso, in pieno lockdown, proprio in Ucraina: decine di neonati parcheggiati in un albergo dalla società di riproduzione assistita BioTexCom, in attesa che i genitori committenti stranieri, bloccati dalla pandemia, potessero raggiungere Kiev e ritirare il rispettivo bebè. Tra loro anche una mezza dozzina di coppie italiane. La vicenda ha permesso all’opinione pubblica mondiale di conoscere la cruda realtà dell’utero in affitto, con bambini ridotti a merce e madri trattate come incubatrici e spodestate del loro ruolo.

Su questa vicenda la stessa Carfagna ha presentato ieri una interrogazione in cui chiede alla presidenza del Consiglio e ai ministeri degli Affari esteri, dell’Interno e della Giustizia se «abbiano messo in atto iniziative per far fronte a una palese violazione dei diritti umani» e se ritengano opportuno intervenire per impedire ai cittadini italiani «il ricorso all’utero in affitto, inserendo la surrogazione di maternità fra i reati perseguibili fuori dai confini del Paese».

L’obiettivo finale della mobilitazione, nazionale e internazionale, contro la pratica dell’utero in affitto è proprio renderne globale il contrasto e il bando, in modo che non ci siano isole di liceità che rendono di fatto difficile far rispettare il divieto nei singoli Paesi.

«La pratica dell’utero in affitto rappresenta una violazione dei diritti fondamentali dei bambini e riduce l’essere umano a merce. Per questo credo che vada perseguita anche quando avviene all’estero, come altri reati di analoga disumanità – dice ad Avvenire la vicepresidente della Camera –. La mia interrogazione sulla triste vicenda dei neonati commissionati e poi bloccati in Ucraina va nella stessa direzione: assicurare che le nostre leggi e i nostri valori non siano disattesi né aggirati. I bambini nati così non possono certo essere abbandonati ma esistono norme e principi giuridici ben certi che regolano la filiazione. Chiedo ai ministri competenti di conoscere se e in quale misura siano applicati in questo caso, che ha turbato l’opinione pubblica italiana e internazionale, mostrando a tutti la spietata realtà di questa pratica che, mi auguro, sarà bandita anche nei pochissimi Paesi che ancora la consentono».