L'inchiesta. Fiera della provetta, prove di Far West
Il materiale promozionale in uno stand della fiera milanese "Wish for a baby"
Chi ha visitato la Fiera della vita in provetta «Wish for a baby», a Milano sabato e domenica scorsi, è tornato a casa con un discreto numero di souvenir, raccolti in una busta di stoffa firmata Fertilab Barcelona: calamite a forma di spermatozoi, palline scaccia-stress, tanti biglietti da visita e volantini patinati. C’è quello della clinica Vithas di Alicante (Spagna) che nella lista dei servizi di procreazione assistita elenca la «Garanzia Bebè in braccio», che rimborsa al 100% tutte le spese «in caso di insuccesso».
Fertilab, l’Istituto catalano di fertilità, punta invece a far «provare l’emozione ( sic) di avere un figlio», ma in nessuna pagina della sua brochure compare la foto di una coppia, bensì solo di singole donne, giusto per chiarire che tipo di clientela intende attrarre. La banca del seme e degli ovuli «più grande del mondo», la danese Cryos International, offre un servizio clienti in italiano, con la possibilità – con un piccolo sovrapprezzo – di ricevere le foto «da adulti» dei donatori di gameti, maschi e femmine, oltre a «registrazioni audio (vocali)», il «profilo dell’intelligenza emotiva » e perfino lo «stile dei capelli». Un’esperienza comparabile a quella che si potrebbe fare su Tinder, la celebre app di incontri...
Ai visitatori è stata data l’opportunità di partecipare a un sorteggio con vari premi, dal consulto gratuito a uno sconto sulla consulenza. Un’atmosfera, come hanno notato alcuni osservatori contattati da Avvenire che preferiscono l’anonimato, da centro benessere o da spa, dove non esistono la malattia e il dolore che invece nella realtà accompagnano il percorso di chi insegue un figlio che non arriva. Si aveva l’impressione che tutte le coppie, comunque assortite, e tutti i singoli potessero realizzare il proprio sogno. Si è parlato di “pacchetti”, “offerte”, “buoni sconto”: ognuno ha la sua chance, nessuno escluso. « La linea di tendenza – raccontano gli attivisti-testimoni – è che tutto è un viaggio. Fuori dall’utero, però. Viaggio di ovociti, di sperma ed embrioni che si congelano e scongelano, che si spostano tramite le cliniche e gli intermediari in Paesi dove tutto questo è permesso. I viaggi rendono tutte le pratiche possibili per chiunque, di qualunque Paese, purché abbia un adeguato conto in banca.
Negli uteri vengono introdotti prodotti ultraselezionati, apparentemente ultra sani fisicamente e super dotati di intelligenza. Del resto non si parla. Forse è il nuovo tabù». Girando tra gli stand, notano i due osservatori, si capisce quali sono i Paesi emergenti nella bio-industria e nel conseguente turismo procreativo. Sicuramente le collaudate cliniche spagnole, che puntano tutto sull’esperienza (nel confronto con le concorrenti italiane) snocciolando dati e percentuali di bebè in braccio. Poi c’è la Grecia, che ha un vantaggio comparativo enorme sull’utero in affitto (vietato in tutti gli altri Paesi Ue, Cipro esclusa), con le sue leggi molto permissive e soprattutto aggirabili. Allo stand di una clinica con sede in Grecia, ad esempio, è stato suggerito a un uomo gay di dichiarare davanti a un notaio di essere in coppia con una donna, per la quale si può procurare un certificato di sterilità in un Paese terzo. « Nessuno controllerà», è stato spiegato da un operatore allo stand.
I diversi Paesi rappresentati alla Fiera di Milano sono in concorrenza tra loro. Il tentativo di attirare clienti italiani si gioca su ciò che è lecito fare all’estero ed è invece vietato in Italia: ad esempio, la procreazione assistita per coppie di donne o donne single. Dalle conferenze proposte nei due giorni di manifestazione emerge un altro elemento: la sterilità non esiste. Non se ne parla. Perché la preoccupazione non è la cura di eventuali difficoltà a procreare, fisiche o psicologiche, ma la vendita di un “pacchetto su misura” con le tecniche più appropriate. L’ascolto delle coppie è superfluo, fondamentale è soddisfare il desiderio di un figlio, anzi «l’emozione». A pagamento, s’intende.
Quanto all’utero in affitto, è stato il vero convitato di pietra di «Wish for a baby»: se ne è parlato più o meno apertamente nonostante il divieto italiano di pubblicizzazione. Più disinvolti i greci, mentre agli stand delle cliniche della Cechia a una coppia di attivisti sotto copertura è stato suggerito di «consultare il sito web» o di seguire gruppi specializzati su Facebook. Una militante di Fratelli d’Italia, anche lei infiltrata alla Fiera di Milano, aveva chiesto informazioni sulla maternità surrogata. Lì per lì solo risposte evasive, ma 48 ore dopo, racconta la deputata Grazia Di Maggio, è arrivata un’email che descrive le diverse opzioni di utero in affitto in Messico, facendo riferimento proprio all’incontro avvenuto alla fiera. Il gioco è fatto.