L'intervista. Binetti: «Cure palliative, mai eutanasia. La legge? Va modificata»
No, non ce ne siamo dimenticati. Mentre l’attenzione generale si è concentrata altrove, sappiamo che c’è un nodo bello aggrovigliato da sciogliere: su eutanasia, referendum sull’omicidio del consenziente e legge sul suicidio assistito si decide un capitolo essenziale del nostro futuro. Lunedì 31 gennaio al Senato (ore 15.30, diretta streaming slla web tv e il canale YouTube del Senato) un convegno mette ordine nelle carte sul tavolo (il programma in fondo all'intervista). A volerlo Paola Binetti, senatrice centrista, motore di iniziative politiche sui temi dell’umano.
L’elezione del Capo dello Stato ha congelato l’iter della legge sui casi in cui depenalizzare la "morte assistita". Come giudica il testo che la Camera potrebbe presto riprendere a discutere?
La legge è stata sollecitata dalla Corte Costituzionale con la famosa sentenza 242 del 2019 che, in un certo senso, ha depenalizzato l’aiuto al suicidio, ma nello stesso tempo ha fortemente sottolineato la necessità di garantire ai pazienti tutte le cure palliative necessarie. La legge in discussione alla Camera conserva e amplifica molti spazi di ambiguità e solleva grandi perplessità sia nel mondo medico che in ambito politico. In mancanza di importanti fattori che ne modifichino l’impianto attuale non sarà possibile votarla, e personalmente mi riservo di intervenire in Senato in tal senso. Nella speranza che a nessuno venga in mente di far arrivare un testo blindato, o addirittura di mettere la fiducia...
È meglio legiferare per evitare che a "dettar legge" siano poi i tribunali, oppure è bene che comunque non si apra mai a forme di "morte a richiesta"?
Sono contraria a legiferare su quella che lei definisce "morte a richiesta" e che io chiamo più semplicemente eutanasia. Penso che si possa e si debba legiferare per venire incontro alle esigenze dei malati in tutto l’arco della loro vita, fino all’ultimo istante. Dodici anni fa lo abbiamo fatto con la legge sulle cure palliative, di cui sono stata presentatrice e relatrice. Una legge che anche in Europa è considerata tra le migliori per facilitare la presa in carico del paziente e dei suoi familiari, soprattutto quando vivere sembra davvero difficile. La legge deve indicare una traiettoria positiva, che amplifichi la possibilità che i pazienti abbiano una vita migliore, ascoltandoli e dialogando con loro e la loro famiglia. Non si tratta di por fine alla loro vita ma di aiutarli a scoprire che la vita può sempre avere senso, soprattutto quando si capisce che non è l’autonomia in senso assoluto che ci rende liberi ma l’accettazione della nostra reciproca interdipendenza: abbiamo tutti bisogno gli uni degli altri e su questo si fondano sia la solidarietà che la fraternità cui il Papa si riferisce con frequenza.
Lei è medico e credente. Che criteri assume come riferimenti?
Ho intrapreso gli studi di medicina per aiutare le persone ad affrontare, nelle migliori condizioni, tutte le eventuali malattie che la vita ci riserva. Mai ho pensato di diventare medico per mettere fine alla vita delle persone. Ippocrate, fin dal terzo secolo avanti Cristo, aveva chiesto a tutti i medici di giurare in tal senso, e siamo in tempi pre-cristiani. Per difendere la vita umana ci basta la legge naturale, la coscienza che c’è in ognuno di noi, che ci aiuta a capire come la nostra stessa umanità è fatta prima di tutto di solidarietà e relazione d’aiuto.
Che clima respira tra i suoi colleghi dei diversi partiti su questi temi?
Dipende molto da come si pone la domanda. Non c’è dubbio che la gente voglia sottrarsi al dolore, alla sofferenza che appare senza fine. Il dolore spaventa tutti noi. Per questo la legge sulle cure palliative prevedeva un esplicito riferimento alla creazione di una rete per la lotta contro il dolore, con investimenti specifici nella ricerca e un alleggerimento della normativa sulla somministrazione di farmaci più complessi, come certi oppiacei. Sotto questo profilo quella legge è rimasta a lungo inapplicata, sono pochi i centri che si occupano in modo adeguato di terapia contro il dolore. C’è poi l’altro aspetto importante su cui ha fatto leva tutta la propaganda per il referendum pro-eutanasia, quello che pretende abolire l’articolo del Codice penale in cui si parla di omicidio del consenziente: è il tema dell’autodeterminazione, della libertà individuale, quello per cui ognuno di noi vuole essere il primo e unico responsabile di tutte le decisioni da assumere. Il tema è posto sovente in modo molto ambiguo, dal momento che molto spesso assumiamo decisioni attraverso il confronto, accettando il parere di chi sembra saperne di più, l’appoggio di chi si offre di condividere con noi situazioni difficili da affrontare da soli. C’è molta demagogia nel mito dell’autodeterminazione assoluta: siamo tutti interdipendenti, e questo è il baluardo più efficace alla solitudine e alla sensazione di abbandono che potrebbe condurci perfino alla disperazione.
Una legge potrebbe fermare le derive eutanasiche nel nostro Paese?
Sì se fosse una legge che garantisce una presa in carico completa, a livello personale e familiare. Una legge che consente l’accesso a una terapia efficace contro il dolore, con misure per interventi sociali, anche sul piano economico, con servizi adeguati, che non fanno sentire soli, con un supporto vero ai caregiver che non solleciti sensi di colpa in chi si sente di peso per gli altri... Molto si può fare se si assume un’ottica positiva e propositiva, davanti alla quale il favorire la morte appare crudele e drammaticamente banale.
Il 15 febbraio la Consulta si pronuncerà sull’ammissibilità del referendum radicale sull’omicidio del consenziente. Cosa si attende?
Mi auguro che la Corte Costituzionale abbia il coraggio di non ammetterlo, o per lo meno di non ammettere il quesito così come è formulato. Rendere tanto facile dare la morte a persone fragili, malati cronici, soli, a volte anche con scarsa capacità di rendersi conto della irreversibilità della morte, aprirebbe la porta a mille abusi, come confermano i Paesi in cui leggi così sono attive da tempo. In caso di ammissibilità, mi auguro che sia il Paese a bocciarlo. È vero ha raccolto circa un milione di firme, ma gli italiani sono 60 milioni.
Le tante firme raccolte dai radicali cosa ci dicono?
Il quesito fa perno su due leve: la paura del dolore e il bisogno di sentirsi liberi, sempre e a ogni costo. Non sono state colte fino in fondo le conseguenze di una legge di questo tipo e tutti gli abusi che ne discenderanno, come mostra ciò che accade in Olanda, Belgio e altrove.
Cosa può fare la politica per diffondere le cure palliative?
Creare hospice adeguati, specie al Sud, e potenziare le cure palliative a domicilio. Occorre ricerca, aumentare il personale, creare master in cure palliative e potenziare le scuole di specializzazione, perché gli iscritti sono insufficienti a far fronte alle necessità dei pazienti e delle loro famiglie. Occorre investire anche in quelle cure non farmacologiche che includono il supporto psicologico, la musicoterapia, l’art-terapia, e perfino la pet-terapia...
Domenica 6 febbraio è la Giornata per la Vita: che messaggio offre in questo momento?
Il convegno che abbiamo promosso per lunedì 31 gennaio ha come titolo «Custodire ogni vita», lo stesso messaggio lanciato dal Papa e ripreso dalla Cei, che abbiamo voluto fare nostro mettendo in gioco non solo il nostro impegno politico ma la nostra umanità, con la profonda consapevolezza che abbiamo bisogno gli uni degli altri. Giovani e anziani, sani e malati, nessuno deve sentirsi solo, perché sa che c’è chi si è impegnato a custodire la sua vita. Ogni vita è preziosa e va custodita, con amore e quella competenza che serve a rimuovere ostacoli, a garantire attraverso lo studio e l’esperienza l’aiuto necessario a ognuno, nei tempi e nei modi in cui si rende necessario.
Il convegno al Senato sulla Giornata per la Vita
L’appuntamento è alle 15.30 di lunedì 31 gennaio a Roma, ma il convegno «Custodire ogni vita» si può seguire anche in diretta streaming sui canali web tv e YouTube del Senato. Alla vigilia della 44esima Giornata per la vita, e sul tema Cei per l’appuntamento del 6 febbraio, il confronto organizzato dalla senatrice Udc Paola Binetti è articolato su due sessioni, moderate dal direttore di "Avvenire" Marco Tarquinio. Dopo i saluti di monsignor Luigi Mistò e Stefano De Lillo, su «Cure palliative tra assistenza, ricerca e formazione» interverranno Maria Grazia De Marinis, ordinario di Scienze infermieristiche all’Università Campus Biomedico, il presidente della Fondazione Antea Giuseppe Casale e don Carlo Abbate, direttore dell’Ufficio per la Pastorale della Salute della diocesi di Roma. Di «Reali alternative alla richiesta di assistenza a morire» parleranno il presidente dell’Osservatorio «Vera Lex?» Domenico Menorello, la giurista della Sapienza Giovanna Razzano e Assuntina Morresi, presidente del Comitato per il no al referendum sull’omicidio del consenziente.