Un lavoro alla volta: e Leila battè la povertà
È bellissimo il titolo che Leila aveva scelto per il suo libro, pubblicato nel 2017. «Give work: reversing poverty one job a time». Offrire lavoro: sconfiggere la povertà, un impiego alla volta. Un orizzonte possibile per Leila Janah, l'«imprenditrice dei poveri», come era conosciuta negli Stati Uniti. Era: perché questa giovane donna di 37 anni, che in pochi anni ha offerto una chance a migliaia di emarginati in Asia e in Africa, è morta il 24 gennaio in un ospedale di New York, stroncata in pochi mesi da un raro sarcoma ai tessuti molli.
Il mondo è un po' più triste, senza Leila Janah. Aveva la pelle ambrata delle sue origini indiane, il sorriso e il fisico da modella, ma soprattutto una motivazione fortissima. Un impiego alla volta, far uscire dalla povertà quante più persone possibile. Figlia di indiani immigrati negli Stati Uniti, dopo un curriculum di studi d'eccellenza (laurea ad Harvard nel 2004 sull'economia dello sviluppo) ed esperienze nel non profit (da studentessa ha insegnato inglese ai bambini ciechi in una scuola del Ghana), Leila ha lavorato come consulente di un'azienda americana che aveva decentrato parte dei processi produttivi in India. A Mumbai vide migliaia di "colletti bianchi" lavorare nella consociata, in un quartiere rispettabile della metropoli, che confinava con un'enorme baraccopoli di diseredati.
Ebbe un'intuizione: portare lavoro in outsourcing direttamente negli slums. Acquistò capannoni, li attrezzò, installò pannelli solari e il wifi e assunse decine di persone, offrendo formazione e pagando un salario di 8 dollari l'ora contro una media di 2,5 per lavori «conto terzi» come taggare le foto, immagazzinare dati utilizzati poi per la programmazione di software da colossi come Google, Microsoft, Facebook, Walmart, Getty Images... Nacque così l'impresa sociale non profit Samasource (sama vuol dire uguale in sanscrito), che oggi impiega 11mila dipendenti in India, Kenya e Uganda, metà dei quali sono donne, aiutando globalmente 50mila persone a uscire dalla miseria. «Sradicare la povertà, un lavoro alla volta»: grazie a Samasource, migliaia di giovani e di donne hanno intuito che ci poteva essere dignità nel lavoro, giustizia nel salario e speranza in un futuro migliore. Leila Janah nelle sue conferenze diceva che l'intelligenza delle persone più povere del mondo è la risorsa inutilizzata più grande dell'economia globale. E ciò che fa la differenza è un lavoro dignitoso, non la carità.
Leila non si fermava mai: tra un premio e una onorificenza, tra un Ted Talk e una conferenza, andò in Africa e scoprì in un mercatino una crema di bellezza incredibilmente efficace, prodotta con la nilotica, un burro di karité estratto dalla noce di un albero selvatico che cresce solo lungo la Valle del Nilo. «Mi sono detta: costruiamo un'impresa orientata all'export ma solo per donne povere», raccontò poi la giovane imprenditrice. «Possiamo sconfiggere la povertà mentre rendiamo più bella la nostra pelle».
Nel 2015 nacque LXMI (dal nome della divinità Hindu Lakshmi), impresa solidale che esporta negli Stati Uniti il burro trasformato poi in una crema di alta gamma e che coinvolge decine di cooperative locali di donne tra Uganda del Nord (dove le vedove di guerra sono la maggioranza tra le operatrici), Sud Sudan ed alcune zone dell'Etiopia. «È stimolante vedere ciò che queste donne sono in grado di fare quando offriamo loro un lavoro, anziché distribuire aiuti», raccontava Leila nel luglio 2017 in un reportage dall'Uganda pubblicato dal sito instyle.com. «Costruiscono case, mandano i figli a scuola, investono nella loro impresa, e partecipano da eguali allo sviluppo del loro Paese». Una donna, per le donne. Addio Leila Janah.