Mi guardi ogni mattina da una foto in bianco e nero, in soggiorno. Sei in aereo, accanto al finestrino. Fra le dita un mozzicone inesistente di Nazionale, che ti ostini ancora a fumare. Giugno ’67: stavi andando per il Corriere sulla Guerra dei Sei Giorni, in Israele. Teso: non tanto per la pelle, che avevi rischiato in Vietnam e altrove, quanto, credo, per l’ansia che ti inseguiva costantemente, di non arrivare in tempo per mandare il pezzo al giornale.
Hai la fronte aggrottata nella foto, i larghi lineamenti contratti, le labbra mordono il mozzicone. Ma nei tuoi occhi grigioverde oltre l’ansia ora c’è altro - c’è, tagliente come una lama, un dolore. Mia sorella era morta a 14 anni, tre mesi prima, dopo una lunga agonia. Dieci, cento guerre, vero papà? erano meglio che restare a Milano, a ricordare.
Da grande, ho confrontato le tue foto: prima del ‘67, e dopo. A quarant’anni eri fiero, quasi sfacciato. Eri tornato con una medaglia dal Don, eri un inviato del Corriere, tu, figlio di gente semplice. Ma quella morte ti era scesa addosso come una notte, e aveva divelto la faccia da vincente.
Come una notte, il marzo del ‘67 su di te, lo vedo a occhio nudo. E, forse, non avevi più paura di niente? Ostinato, hai continuato a partire. Ma sempre su un fronte: come se solo l’adrenalina della battaglia tacitasse, per qualche ora, la memoria di lei, perduta.
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