Era la vigilia di Natale del 1984. Ero una giovane praticante nella redazione di un giornale del pomeriggio a Milano. Oltre le finestre una fittissima nebbia, di quelle che c'erano quando le caldaie andavano a carbone. Dentro, le macchine da scrivere silenziose: noi stavamo parlando di regali, di cene, di ricette. Dal rullo dell'Ansa impigrito nella vigilia uscì un lancio, nel consueto nevrotico ticchettio della tastiera automatica. Distrattamente, un collega andò a dare un'occhiata. Strappò il dispaccio dal rullo, lesse, restò impietrito. Una bomba sul Rapido 904, nella Grande Galleria degli Appennini, tra Firenze e Bologna. Nessuno dei colleghi anziani aveva voglia di partire, a Natale. Mandarono i due più giovani: un collega e me. Sull'Autosole la nebbia era un muro. Sembrava di viaggiare verso il nulla. Arrivai a Bologna, alla stazione. La città attorno era ammutolita e terrea. Ricordo, non so più a che ora, un treno che dalla mia sinistra entrava sotto la tettoia, estremamente adagio. Un treno? Vagoni sventrati, neri di fumo, i finestrini infranti come orbite vuote. Ma fu il procedere di quel convoglio, lento come un corteo funebre, che mi si incise nel cuore. I treni dell'infanzia, delle Dolomiti, del mare, i loro colori e rumori lieti - come un carillon che si interrompe, di colpo. In un istante, ero diventata adulta.