«Spie al ristorante». Ora cessate il cuoco
A proposito di Spie al ristorante, la cosa che colpisce di più è la quantità di episodi che vengono proposti uno dietro l'altro la mattina dalle 10,50 alle 13,30 su Real Time e il pomeriggio dalle 17,30 alle 20,30 su Nove. Tenendo conto che la durata di ciascuno è intorno ai venti minuti, è facile fare il conto. Per di più sono tutti rigorosamente strutturati allo stesso modo.
Intanto, diciamo che Spie al ristorante è un format statunitense incentrato sulle indagini in incognito che l'agente privato Charles Stiles realizza su richiesta di ristoratori che dubitano sull'operato dei propri dipendenti. Ogni puntata inizia con “La consultazione”: l'incontro tra i proprietari del ristorante e il detective. Insieme individuano “Il sospettato”. Dopo di che un grafico illustra il posizionamento di telecamere e microfoni nascosti all'interno del locale. Al tempo stesso vengono presentate le “Spie sotto copertura” che lavorano per Stiles.
A quel punto scatta “La trappola”. In una “Sala controllo”, collocata vicino al ristorante e attrezzata come una vera e propria regia televisiva, i titolari e l'agente privato dai baffetti impossibili seguono gli spostamenti e i dialoghi di manager e camerieri.
Immancabilmente, ogni volta, viene scoperta una truffa. I responsabili vengono chiamati nella “Sala controllo” e, dopo essere stati messi di fronte alle proprie documentate responsabilità, vengono licenziati. Ma per rendere il tutto indolore, c'è un ulteriore siparietto («4 mesi dopo») con cui si dà conto che i licenziati hanno ritrovato un lavoro, mentre i proprietari annunciano che ora gli affari vanno a gonfie vele grazie a Charles Stiles e al suo staff.
Non c'è dubbio che tutto sia costruito. A dimostrarlo sono le stesse inquadrature: il più delle volte arrivano da telecamere in movimento, con tanto di controcampi, e non da telecamere fisse come quelle che si suppone nascoste nel ristorante. Anche le reazioni dei diretti interessati, dai proprietari ai camerieri, sanno di recitato. Ma anche in questo caso, quello che conta è riuscire a creare in qualche modo una storia verosimile, che più che avere un senso raccontarla, possa avere un motivo di interesse ascoltarla. In più c'è il tema della cucina che la tv sfrutta in tutti i modi possibili e immaginabili. Forse non rimaneva altro che trattarlo in chiave “investigativa” e di “spionaggio”.