Mentre lunedì ha preso il via su Sky Atlantic, con il primo episodio in versione originale, l'attesa seria House of the dragon, prequel (gli antefatti) del Trono di spade, ieri sera, sulla stessa rete, è andata in onda per intero (otto episodi) la serie tedesca Paradiso. Niente a che vedere, ovviamente, l'una con l'altra dal punto di vista della storia narrata. Il metterle insieme serve solo a confermare alcune cose tra cui il fatto che siamo diventati avidi e voraci di narrazioni, pronti ad affrontare una visione in inglese alle tre di notte per non perdere la contemporaneità con gli Stati Uniti ed essere i primi la mattina dopo a poterne parlare, oppure ad affrontare una maratona di otto ore per vedere subito come va a finire. Il tutto ad ulteriore conferma di come le serie televisive facciano ormai parte della nostra vita, siano oggetto di discussione e abbiano acquisito una dignità e un prestigio culturale prima riservato solo al cinema d'autore. L'attrazione fatale delle serie è dunque notevole: da parte dei telespettatori e degli autori. Attraggono un pubblico anche colto e intelligente, che un tempo si rifiutava di vedere la tv considerandolo un prodotto di sottocultura. Premesso questo, in attesa di parlare di House of the dragon, magari la prossima settimana quando arriva la versione doppiata, due parole su Paradiso, che racconta di un complesso legame fra tre persone (due uomini e una donna: Mark, Felix e Tuuli) e di un giornalista (Daniel) che si appassiona alla loro storia letta in un libro scritto da Mark. Il ménage a trois è discutibile, ma il modo in cui si sviluppa la vicenda con l'alternarsi degli anni e delle località in giro per il mondo, l'intreccio della storia dei tre con quella di Daniel e i tanti misteri finiscono per catturare il telespettatore.