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Riva, un padre che ha riportato il popolo in chiesa

Massimiliano Castellani sabato 27 gennaio 2024
Ho visto Gigi volare. Ho sognato Gigi Riva fare un tuffo d’angelo e colpire di testa la luna... Poi mi sono svegliato e mi hanno detto che “Rombo di Tuono” era volato in Cielo. La morte di Riva per noi che amiamo il calcio è stato come perdere un padre. L’addio dolce, ma anche triste e doloroso a un hombre vertical che fa parte dell’antropologia culturale ancor prima che della storia di cuoio. Abbiamo perso un eroe epico, un Ulisse del pallone che non ha fatto mai ritorno alla natia Leggiuno, perché in quell’Isola (la Sardegna) aveva trovato il suo tesoro: l’amore della gente. «Siamo addolorati noi per la gente» hanno detto i figli di Riva, Nicola e Mauro, abbracciati alla madre Gianna, mentre osservavano quella folla oceanica che è andata a salutare il suo eroe, per l’ultima volta. Abbiamo pianto tutti assieme ai suoi ragazzi e a quei figli azzurri di ieri, Buffon, Cannavaro... Uomini che, con i loro pregi e i loro limiti, sono diventati tali ascoltando i consigli saggi, sempre sussurrati garbatamente dal loro maestro, Gigi. La grandezza di Riva è stata quella di aver insegnato a tutti a crescere, con e nel calcio, senza mai salire in cattedra. La lezione era il suo esempio di vita, il coraggio e l’incoscienza dei grandi “No”. “No” ai miliardi della Juventus dell’Avvocato, “no” ai 400 milioni offerti da Franco Zeffirelli che voleva a tutti costi quell’Adone olimpico nel cast del suo film su san Francesco, Fratello sole, sorella luna. Nella colonna sonora del film di Zeffirelli (composta da Riz Ortolani) figurano tre canzoni eseguite da Claudio Baglioni, e quando mi è arrivata la notizia della morte di Gigi Riva, non è un caso che stessi entrando al Forum di Assago, per il concerto di Baglioni. Uno che tra le sue
350 canzoni ha scritto anche
Tutto il calcio minuto per minuto che è un omaggio a quella generazione che “guardava” le partite alla radio, che sognava ancora in bianco e nero e che sperava, un giorno, di stringere almeno una volta nella vita la mano del più grande attaccante italiano di tutti i tempi. Quando Riva era il team manager della Nazionale, quel sogno, condiviso con mio padre, si è realizzato. E paterne sono state anche certe rare, e ora rimpiante telefonate-intervista, che si scioglievano in paterne chiacchierate. L’ultima foto sua, dal salotto di casa, a Cagliari, me l’ha inviata Roberto Valentino, un funambolo generoso (la Rai lo chiami al posto di tanti inutili guitti) che sa imitare come pochi il timbro sardoleggiunese di Rombo di Tuono. Quel giorno Valentino, con orgoglio mi raccontava di essere «riuscito a strappare più di un sorriso al caro Gigi». Lo stesso sorriso triste di un’Italia che credevo non esistesse più, e invece è tornata a riempire la chiesa e la piazza per abbracciare il suo eroe, e per abbracciarsi ancora. Grazie Gigi anche per averci regalato, ai supplementari, un pezzo di vita reale. Del resto, ho scoperto a quel concerto che Internet è soltanto un verso di E tu, quando Baglioni canta «seguire il tuo profilo con un dito». © riproduzione riservata