A metà degli anni Cinquanta dello scorso secolo, la rivista "Epoca" affidò a un solido scrittore borghese, il veneto Guido Piovene, l'incarico di girare l'Italia riportandone impressioni fresche, frutto della curiosità dell'autore, del suo fiuto per gli informatori giusti e della sua capacità di farli parlare. Ne risultò un Viaggio in Italia sorprendente, di strabordante vitalità, che prefigurava gli anni del "miracolo" ma manteneva intatte le specificità regionali e locali, le differenze. Il nostro popolo vi appariva vivo nonostante la guerra, e guardava avanti. Il paragone tra quegli anni e i nostri è imbarazzante. Fu Carlo Levi, negli stessi anni, a parlare di «un volto che ci somiglia» viaggiando per l'Italia, un volto che poteva stupire e perfino affascinare. Ora i redattori di una storica rivista bolognese, "Il Mulino", hanno avuto l'idea di un libro collettivo (un numero speciale della rivista, 262 pagine in grande formato, euro 15) che componesse un Viaggio in Italia a tante voci. Sottotitolo: Racconto di un paese difficile e bellissimo. Difficile sì, più che mai, bellissimo ancora davvero, e ancora per quanto? Ricordo anche un volume del Touring Club Italiano, 1984, curato da Paolo Volponi, che introduceva con testi suoi, che aiutai a mettere insieme, un'antologia sulle varie regioni di quanto gli scrittori italiani ne avevano scritto per quella associazione, Scrittori di "Attraverso l'Italia" 1930-1972. Erano testi troppo impressionistici, molto diversi da questi del "Mulino". A scriverli erano stati degli scrittori, mentre qui si tratta, sempre, di professori, e la differenza si fa sentire. Sono tanti, e certamente preparati, ma con questo limite o perfino stigma di essere dei professori, e di arrivare alle cose con la mediazione di conoscenze reputate scientifiche, e però meno ardite e profonde di quelle degli scrittori. E d'altronde, si ha un po' paura a pensare un viaggio a più voci dei nostri scrittori odierni... Questa mancanza di calore e di visione, o genericamente di "progetto", viene dallo stato dell'università, con la decadenza della nostra sociologia, tanto per cominciare, e più in generale, anche tra gli economisti e per ovvi motivi gli storici di quella che C. Wright Mills ci insegnò a chiamare «immaginazione sociologica» (ne ha parlato anche il Papa nella sua omelia della Messa di Natale). Bravi a fotografare posto per posto per la quantità di informazioni che danno, che nell'insieme fanno di questo numero uno strumento indispensabile di consultazione per chi in Italia si muove, manca ai professori (né i giornalisti si portano meglio) quella passione che conduce alla conoscenza dettata da amore o disamore per la realtà e, nei migliori, dal sentimento della cocente necessità di cambiarla. Si direbbe che, quasi tutti, non riescano più a ipotizzare e a contribuire all'invenzione di alcun futuro che non sia di aggiustamenti provvisori, generici. Piovene, Levi, Volponi e tanti loro contemporanei guardavano, ascoltavano, capivano e scrivevano con l'idea di un progetto collettivo, che sapesse andare oltre i libri,
"italiano" e non solo. I tempi cambiano, e non è colpa dei professori, ma...