Devono essere utili e istruttivi i giocattoli? Devono essere uno strumento al servizio della formazione dell’adulto futuro? Il bambino dovrebbe prefigurarlo quando si diverte, si appassiona, si astrae dalla realtà giocando ed entrando in nuovi mondi di sua invenzione? Secondo una tale idea dei giocattoli e del gioco, il bambino quando gioca dovrebbe mettersi prima possibile al lavoro per diventare un adulto ben riuscito, cioè efficiente, abile e quindi (si suppone) di successo. Ma nei bambini ci sono molte più cose di quante ne immaginino gli adulti. Nel bambino e nel suo modo di giocare non ci sono ancora specializzazioni e mestieri, ma solo desideri e fantasie in cui si mescolano con primordiale e apparente disordine le più varie e stravaganti attitudini che più tardi, quasi sempre, l’educazione familiare e scolastica castigheranno, regoleranno o più brutalmente e colpevolmente “amputeranno”. Rispetto al bambino l’adulto è il risultato di varie amputazioni dell’intelligenza, della sensibilità, dell’immaginazione. Il guaio paradossale è che a volte il mondo adulto è ottusamente infantile, pur mostrando una disastrosa mancanza di sensibilità e di immaginazione. Non si immagina la realtà, cioè non la si capisce, né se ne prevedono gli inevitabili sviluppi. Un numero di “Internazionale” uscito durante le vacanze natalizie aveva in copertina il titolo Giocattoli da ripensare, e pubblicava un ampio saggio di Alex Blasdel uscito sul “Guardian” che critica la vecchia idea secondo cui i giocattoli dovrebbero sviluppare nei bambini dei «vantaggi competitivi» che saranno utili nel futuro rendendoli più adatti nella lotta per affermarsi socialmente. Al problema si dedicarono anche Baudelaire (in un saggio del 1852) e Roland Barthes nel suo famoso libro Miti d’oggi (1957). Al giocattolo lussuoso che si regala nelle ricche famiglie borghesi, Baudelaire contrapponeva il giocattolo povero, cioè messo insieme con cose che si raccolgono per la strada e a cui la fantasia infantile attribuisce insospettati valori. Barthes se la prende, d’altra parte, con il giocattolo che immancabilmente prefigura «in piccolo», miniaturizza, il mondo degli adulti e tende a fare del bambino o un “proprietario” o un “utente”, che non inventano ma utilizzano. E oggi? I giocattoli spariscono per essere sostituiti da aggeggi elettronici e videogiochetti nei quali la realtà fisica a tre dimensioni, dominata da rapporti di causa ed effetto, non c’è più. Certo non educano, ma addestrano. A che cosa? Forse a salire su un’astronave e a trasferirsi in un remoto inaridito pianeta senza alberi né animali, senza stagioni né fastidiose crisi climatiche.
© riproduzione riservata