«Il mare è un antico idioma che non riesco a decifrare» (Borges). A cominciare dal genere: maschile in italiano, femminile in francese, neutro in latino. Di segno duplice nella grande epica classica: Ulisse temerariamente amante del mare (Odissea 4, 223 sgg.), Enea vittima di una forza paurosa e ostile (Eneide 1, 3; 3, 11; 3, 196 sgg.), in coerenza con la proverbiale estraneità e diffidenza verso il mare da parte dei Romani, populus rudis, pastorius, terrester (Floro 2, 2). Ambigua la navigazione per Seneca: simbolo ora di rovinosa avidità mercantile (La brevità della vita 1, 2) e di empia violazione della natura (Medea 301 sgg), ora di conoscenza e di curiositas (La vita ritirata 5, 3); fino a diventare di segno univocamente negativo in Agostino, per il quale «il mare è male» (Commento al Salmo 64, 9 mare malum). In lui la profondità del mare è simbolo della perdizione e dell'abisso morale (Confessioni 6, 1, 1 e 4, 13, 20); mentre la terra è fidelis e simbolo della vita, il mare è infidele (Confessioni 13, 21, 29) e simbolo della morte: «I pagani da mare che erano sono diventati terra» (Commento al Salmo 6, 5, con evidente allusione alla traversata del Mar Rosso). Congedata la sapienza classica, Agostino si affida a quella biblica per la quale anche «alla fine dei tempi ci saranno nuovi cieli e nuove terre, ma il mare no» (Apocalisse 21, 1).