Novalis diceva del reale che, quanto più è poetico, più è vero. La poesia, infatti, non serve a distrarci, ad abbellire, ma a riportarci sapienzialmente al cuore della vita. Uno dei grandi momenti poetici del Vangelo è il noto apoftegma sui gigli del campo: «Non preoccupatevi per la vostra vita… La vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non seminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non valete forse più di loro?... Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro» (Mt 6,25-29). Gesù si preoccupa che non perdiamo il senso delle proporzioni nella nostra vita. Noi viviamo ripiegati sulle occupazioni più infime, prigionieri di una ristretta quotidianità utilitarista, dove la vita smarrisce il suo respiro profondo. Se perdiamo la capacità di aprire gli occhi e di estasiarci davanti al meraviglioso spettacolo del creato, perderemo l'entusiasmo per la lode. Esiste una leggerezza che ci è necessario apprendere, una trasparenza che dilati l'anima. E che è, in fondo, ciò che ci permette di attraversare la notte, le avversità e le contraddizioni, con gli occhi fissi sulla piccola fiamma della speranza.