Le mani di Martino
Osservo le sue dita così piccole intrecciate con le mie, in una fiducia totale. Profonda tenerezza, e anche un moto quasi di invidia: potessi io, quando sono stanca o ho paura, afferrare le mani di qualcuno, mani forti e buone di cui fidarmi. In quel fidarsi ogni dolore e fatica sarebbero meno gravosi - perché non sarei sola.
Ma da tanto non sono più bambina, e non ho mani cui aggrapparmi. Eppure, nel profondo, bambina, figlia mi sento sempre, dolorosamente. Figlia di un padre di cui sono certa, e che pure non posso vedere né toccare. E quanto avrei invece bisogno di toccarle quelle mani di padre, di sentire la durezza delle ossa, il palpito del sangue, e il calore. Che grazia sarebbero, quelle mani.
Ma, forse, nell'ultimo istante? Come bambini tuffarsi in un mare vertiginoso e oscuro, ben più profondo del sonno: ma avvinti a mani buone.