C’è un piccolo segno che caratterizza i quotidiani, accurati post sul Vangelo del giorno che nutrono il blog “La buona parola” (sezione “Meditazioni e preghiere”) e la pagina Facebook del giornalista e scrittore Alessandro Ginotta. È la formula «Il mio in(solito) commento a...» con la quale introduce ciascun testo, riuscendo a incuriosire il navigante occasionale e a rassicurare quello già divenuto fedele. Sabato 11 marzo (
bit.ly/3Lo3HxL) ha inserito nella formula consueta anche l’avverbio «decisamente», e in effetti chi si è avventurato nella lettura ha trovato la cosiddetta parabola del “figliol prodigo”, ovvero del “padre buono”, rimeditata attraverso un prisma d’eccezione: la recente esperienza della paternità conosciuta dall’autore. Egli riprende, nella prima parte del post, un suo articolo ideato in ospedale, la notte, mentre vegliava la moglie e la piccola appena nata. Lo sguardo indugia su di lei e il pensiero non può che andare a Dio. «Misuro la mia gioia frammista alle mille altre indescrivibili sensazioni che la paternità porta con sé e mi chiedo quali sentimenti possano abitare il cuore di Dio, Padre e Creatore, mentre contempla noi, le sue creature». L’autore insiste su questa sua “nuova” consapevolezza: «Non mi stupisco più che Dio sappia dimenticare le nostre colpe come se non fossero mai esistite. Cosa non si perdonerebbe ad una creatura così piccola come la bimba che vedo davanti a me ora?». La quale diventa, nella seconda parte del post, la chiave per una comprensione più profonda del «cuore del padre della parabola che attende per giorni, settimane, forse mesi, il ritorno del proprio figlio»; dello «slancio di quelle braccia che volano al collo del ragazzo che rientra a casa»: questo padre «non può comportarsi in altro modo». Per sfociare in un’autentica professione di fede: «Perché [Dio] ci ama. E l’amore di un padre (o una madre) per il proprio figlio (o la propria figlia) è il più intenso, il più autentico, il più viscerale, il più vicino a Dio dei sentimenti che un essere umano possa mai sperimentare». Chissà quanti altri padri saranno grati ad Alessandro Ginotta, come lo sono io, per averli così appassionatamente riportati all’emozione della loro paternità, e attraverso di essa alla radicale fiducia nell’amore di Dio.
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