L'Italia ha da pochi giorni reso note le proprie "Linee guida per la tutela della biodiversità in agricoltura". Sembra una notizia tecnica, da relegare in qualche bollettino scientifico, in realtà si tratta di un passo in avanti importante dai forti risvolti anche economici. Tutelare la biodiversità in agricoltura, infatti, significa difendere meglio non solo i prodotti tipici agricoli nazionali (che già da soli valgono miliardi di euro), ma anche un territorio e un modo di produrre alimenti che hanno forti implicazioni occupazionali e ambientali (e quindi ricadute miliardarie sui bilanci nazionali).Le Linee guida hanno di fatto un obiettivo: quello di fermare la perdita di varietà vegetali coltivate oppure di razze animali allevate ed evitare che l'agricoltura si appiattisca su pochi alimenti. Stando agli ultimi dati disponibili, pare che in Italia nel secolo scorso esistessero circa 8mila varietà di frutta, mentre oggi sono meno di 2mila, di cui 1.500 sono considerate a rischio anche per effetto dei moderni sistemi di distribuzione commerciale che privilegiano le grandi quantità e la standardizzazione dell'offerta. Il risvolto economico della biodiversità sta proprio nella modernizzazione della catena di produzione dai campi alle tavole. Alla base della diminuzione della biodiversità animale e vegetale, infatti, non ci sarebbero solo i cambiamenti climatici, ma anche particolari strategie commerciali ed economiche che privilegiano la semplificazione e il minor costo alla diversificazione e, spesso, alla qualità.Di fronte a tutto ciò, in effetti, l'Italia non è rimasta ferma. Esiste, infatti, da più di dieci anni un "Piano nazionale biodiversità di interesse agricolo" seguito poi da anni di lavoro di un gruppo di tecnici che avevano il compito di indicare le azioni concrete da intraprendere e che è arrivato a produrre una serie di manuali destinati alle Regioni e in generale alle Pubbliche Amministrazioni che dovranno utilizzarli «per guidare gli agricoltori ed altri soggetti interessati». Si dovrebbe addirittura arrivare alla creazione di un'Anagrafe nazionale delle varietà, razze e popolazioni locali per meglio orientare le produzioni e le tecniche.«A questo punto – ha spiegato Mario Marino, coordinatore finale delle Linee guida che ha lavorato per il ministero delle Politiche Agricole e per la Fao – potrebbe essere utile che le Regioni e le Pubbliche Amministrazioni, di concerto con il ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali, diano avvio al più presto alle successive fasi mediante la concertazione di progetti interregionali». È però forse proprio qui che le buone intenzioni della scienza e della tecnica si scontrano con la realtà. A mettere a rischio la biodiversità agricola nazionale (che come si è detto vale miliardi di euro), non sono solamente le condizioni di mercato, locali e globali, ma anche lo stato dei nostri decisori pubblici, probabilmente assorbiti da altro (slavo alcune eccezioni), rispetto al futuro della nostra capacità produttiva alimentare.