Andiamo tutti indaffarati in un confabulare più o meno felice, più narcisistico o più altruistico, più questo o più quello. Ci sbracciamo per una soluzione, per l'àncora di un senso che non sempre è ovvio, che quasi mai è evidente o facile. E l'Avvento che cosa ci porta? Porta un'interruzione. Il nostro discorrere s'interrompe perché vediamo sopraggiungere un corteo che viene annunciando una nascita, quella di Dio e la nostra. Ora, non ci sono ornamenti nella rappresentazione di Gesù che nasce. Egli viene al mondo sprovvisto di tutto, in quella stalla per gli animali dove c'è solo la vita che conti. L'Avvento è dunque un tempo per sospendere i nostri tristi scambi di ragioni, i nostri lunghi itinerari senza sbocco, il nostro interminabile indagare. E per metterci davanti allo spettacolo della vita, della vita che incessantemente si rinnova, anche quando noi non ce ne accorgiamo, anche quando riteniamo ormai impossibile ogni via d'uscita. Nella realtà, la vita risponde manifestandosi, donando se stessa, attraendoci a quello spoglio miracolo che è la vita in sé. È guardando, accogliendo e abbracciando la vita che possiamo essere guariti dai nostri dubbi, da quello che in noi sembra niente più che una lacerazione, una desolata ferita da grattare, vuoto e sottrazione. La vita s'incarica di disporci - disarmati, d'improvviso e innocenti - davanti al parto di Dio.