Una settimana, la prima dell’anno 2024, foriera di cattivi pensieri, avrebbe detto mastro Gianni Mura. Non solo il calcio, ma un po’ tutto lo sport sarebbe in mano ai nazistifascisti? Nel mese della Memoria, l’allarme lanciato dalle pagine di Repubblica dall’attentissimo Paolo Berizzi, farebbe urlare ad Enzo Tortora il suo proverbiale «Orrore!». Trattasi di storie legate al football, non il nostro calcio, che comunque non è esente da vicende simili, ma il football americano praticato a quanto pare da orde di ultranazionalisti italici. I fatti più recenti risalgono alla finale per il 3° posto degli Europei di Goteborg, Svezia-Italia, in cui il coach azzurro, Giorgio Gerbaldi, mostrava fiero il braccio teso in segno di saluto fascista. Il presidente della Fidaf, Leoluca Orlando, stigmatizza l’episodio, rimanda a indagini federali, mentre il suo vice, Fabio Tortosa, pare abbia inviato messaggi intimidatori sotto lo pseudonimo “Giorgio Chinaglia Ostia”: il bomber il cui nome viene abusato come feticcio storico dagli irriducibili della Curva Nord laziale che, da sempre non nascondono simpatie fasciste. Il Tortosa, è un «ex poliziotto «coinvolto nella drammatica storia del “massacro messicano” alla Diaz del G8 di Genova», sottolinea Berizzi nel suo articolo (“Celtiche, slogan, nazisti e archiviazioni. Un’ombra nera dietro la Federfootball”) e ricorda che lo stesso Tortosa «definì Carlo Giuliani uno che fa schifo anche ai vermi». Del football americano le uniche ombre che conoscevamo erano quelle legate al “Cte” (encefalopatia traumatica cronica) che nello spettacolare torneo Usa ha mietuto più vittime della Sla nel calcio europeo. A far luce su quella piaga del football americano è stato il dottor Bennet Omalu, la cui vicenda è diventata un film dossier - protagonista Will Smith -
intitolato appunto Zona d’ombra. Le ombre che ora
avvolgono il football americano che si gioca sui nostri campi
sono altrettanto malefiche e sconfinano anche nel fratello minore del flag football in cui un altro coach, Mauro Florio, nella finale nazionale di Grosseto «esibiva una celtica al collo sotto divisa Fidaf. Intorno a lui ragazzi dai 10 ai 17 anni». La meglio gioventù del flag football che viene cresciuta a saluti romani e nostalgie da Ventennio, con magari ripassino di storia revisionista sulla figura dell’audace Duce. «La Storia si ripete sempre due volte: la prima come tragedia, la seconda come farsa», ricorda Karl Marx. Ma non è una farsa che la maggioranza delle Curve degli stadi italiani vengono “pilotate” da personaggi e capipopolo della destra eversiva.
Quando da queste colonne abbiamo scritto del libro di Berizzi È gradita la camicia nera
(Rizzoli), focus sulla Curva dell’Hellas Verona, laboratorio di «neofascisterie», siamo stati presi di mira da gruppi di negazionisti. Il negazionismo è una malattia che fa male a tutta la società, mondo dello sport compreso: allora, impegniamoci tutti per curarla e per evitare a giornalisti impavidi come Berizzi di dover vivere sotto scorta, solo per aver scritto
la verità.
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