«Non preoccupatevi per la vita» (Lc 12,22). Questo ci dici, Gesù. E questa ci sembra la cosa più paradossale che mai possiamo udire, perché invece noi non ci liberiamo mai dalle preoccupazioni, le quali diventano, quasi senza rendercene conto, il motivo principale della nostra esistenza. Tu insisti: «Non preoccupatevi». A un certo punto pare che l'unica cosa che sappiamo fare bene è preoccuparci. Smettiamo di saper creare, intessere, progettare. Cessiamo di sorridere senza una ragione, di stare con gli altri gratuitamente, di passeggiare senza un perché o di pregare senza tempo. Avvertiamo unicamente il peso crudo della vita, la responsabilità nervosa per ogni cosa, facendo calcoli, cercando sicurezze. Ma tu, Gesù, ci spieghi: «La vita vale più del cibo e il corpo più del vestito» (Lc 12,23). Se non cogliamo questo come una verità che appassiona, che salva, finiremo per esaurire la vitalità del dono, riducendola a un'inutile lotta. Quando percepiamo che la vita è di più, è allora che cessiamo di vivere ossessionati da ciò che è più piccolo, prigionieri di dettagli ridicoli che ci schiavizzano. Insegnaci, Signore, che la spiritualità non è, in realtà, una preoccupazione in più fra tutte le altre. La vera spiritualità è quella che si sperimenta nell'abbandono, lì soltanto.