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«Giovani, no alle semplificazioni» Giusto. Diamo anche buoni esempi

Andrea Lavazza venerdì 14 marzo 2025
«Giovani, no alle semplificazioni» Giusto. Diamo anche buoni esempi
Caro Avvenire, qualche giorno addietro ho partecipato a un incontro dove c’erano parecchi genitori preoccupati per il moltiplicarsi di accadimenti tragici che hanno come protagonisti giovanissimi. Quando si parla di bulli, baby gang, bande, si corre sempre il rischio di usare slogan o sottolineature altisonanti, ma poco aderenti al terreno impervio che si sta percorrendo. Un genitore, quasi urlando, ha detto che ai suoi tempi i giovani erano assai meglio di quelli di oggi, dimenticando che nel frattempo siamo cambiati noi. Usare impropriamente le parole significa fare di tutta l’erba un fascio. Vincenzo Andraous Pavia Caro Andraous, so che lei frequenta molte realtà sociali e ha pertanto un panorama ampio e aggiornato dei giovani italiani. E, se mai vi è stato un momento in cui non si può fare di tutta l’erba un fascio, come giustamente lei dice, ebbene è proprio questo. Siamo in una società plurale e segmentata, in cui crescono i reati gravi compiuti dai giovanissimi ma vediamo calare la trasgressione sociale che caratterizzava le generazioni precedenti. Ci sono tanti “sdraiati” che non studiano né lavorano (spesso non per colpa loro bensì per mancanza di opportunità) e poi compaiono gli Alfieri della Repubblica premiati dal presidente Mattarella e ci si apre l’orizzonte su ragazze e ragazzi impegnati e altruisti in modo quasi eroico. Se le statistiche ci dicono che il disagio psicologico morde molti adolescenti, altrettanti sono serenamente coinvolti nei loro processi di studio e di crescita. I valori e consumi culturali li differenziano più che in passato. Li unisce forse la tecnologia, che ormai ha conquistato tutti nelle forme della comunicazione istantanea e dei social media. I giovani non sono felici? Forse non lo sono né lo saranno in qualunque epoca. I bambini possono essere così fortunati da avere un contesto in cui sono amati, tutelati e stimolati nel modo giusto: ricorderanno con gratitudine la loro infanzia. Le fasi successive, nelle quali ognuno deve trovare il proprio posto nel mondo, tuttavia non saranno facili. E oggi sembra che per molti l’esperienza comune sia quella di percepirsi come “in ritardo” rispetto a tappe esistenziali che in passato erano più facilmente raggiungibili (lavoro stabile, autonomia abitativa, relazioni affettive consolidate). Questo genera un’incertezza che può indebolire il senso di futuro e di progettualità. E poi ci siamo noi adulti, ovviamente. Nella sua lettera, caro Andraous, lei si rivolge idealmente a quel genitore nostalgico del tempo che fu, chiedendogli se è sufficientemente attento a ciò che il figlio fa e pensa. Forse, su quel versante, siamo troppo invadenti in un senso e troppo lassisti in un altro: vogliamo condividere tutto e tolleriamo quasi ogni scelta. Il punto, però, è la società che abbiamo costruito, permeata di un individualismo che non dà appigli a chi non riesce subito a stare in piedi e correre. Per questo servono educatori e figure di riferimento che sappiano intercettare i bisogni di una fase cruciale dell’esistenza. Negli oratori, nelle parrocchie e in molte forme aggregative di ispirazione cattolica queste persone non mancano e continuano a seminare un bene che germoglierà negli anni. Dobbiamo essere abbastanza realisti, però, da sapere che quelle opportunità non raggiungono più tutti, e che spesso chi oggi si lamenta del “degrado” morale ha contribuito in precedenza a erodere le istituzioni o le pratiche che lo contenevano. Proprio perché non dobbiamo fare di tutta l’erba un fascio, in conclusione, è difficile dirsi totalmente ottimisti o pessimisti. Forse l’errore più comune è ancora quello di inforcare un solo paio di occhiali attraverso cui vedere in rosa o in nero tutti i fenomeni sfaccettati della contemporaneità. All’università trovo moltissimi giovani che mi fanno ben sperare per il futuro, girando per le città mi assale qualche dubbio di segno contrario. Quando poi incrocio serie tv come Gangs of Milano e apprendo del successo di Mare fuori mi chiedo perché, pur con le migliori intenzioni di raccontare il riscatto sempre possibile, la cultura mainstream indirizzata ai ragazzi tende a strizzare l’occhio più alle seduzioni dell’illecito che al positivo dell’esistenza. Attira, ovvio. Non si può fare arte solo con i buoni sentimenti, certo. Nessuno sarà traviato da queste fiction, probabile. Eppure, da quasi boomer, penso che un po’ meno di fascinazione per il male e più esempi costruttivi sarebbero un’opportuna risposta a bullismi e aggressioni che interrogano nel loro aumentare apparentemente inspiegato. © riproduzione riservata