Essere costretti a rinunciare alla propria identità, a ciò che alimenta il cuore e l’anima: ecco la vera tortura, forse ancora più profonda e devastante di quella che colpisce il corpo. Ecco perché san Felice da Nola, pur non essendo morto a causa della persecuzione anticristiana, è ricordato come martire: quello “dell’anima” è altrettanto atroce di quello del corpo. Ed è lo stesso martirio che tanti credenti oggi subiscono ogni giorno nei luoghi di lavoro, negli spazi della cultura, nelle sedi della vita pubblica. Vissuto tra il III e il IV secolo, Felice era un collaboratore del vescovo di Nola, Massimo, che fu costretto a fuggire a causa delle violenze contro i cristiani dell’Impero romano. Rimasto in città, venne catturato e torturato ma venne liberato miracolosamente da un angelo e portato dal suo vescovo, che, ormai privo di forze, si trovava in un luogo desertico. Riportò quindi Massimo a Nola e riprese il suo ministero sacerdotale grazie a una pausa della persecuzione. Alla ripresa delle violenza, però, Felice si nascose, riuscendo così a sfuggire a una seconda cattura. Nel 313, infine, poté tornare a Nola, naturale candidato alla cattedra episcopale. Egli però rifiutò e non volle nemmeno indietro i beni che gli erano stati sequestrati, preferendo vivere in povertà fino alla morte. La sua storia ci è giunta grazie al racconto di san Paolino da Nola.
Altri santi. Beato Oddone di Novara, monaco (1100-1198); beato Odorico da Pordenone, sacerdote (1265-1331).
Letture. Romano. 1Sam 3,3-10.19; Sal 39; 1Cor 6,13-15.17-20; Gv 1,35-42.
Ambrosiano. Is 25,6-10a; Sal 71 (72); Col 2,1-10a; Gv 2,1-11.
t.me/santoavvenire
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