«“Faccetta nera” dai ragazzi in gita» Non un bel segnale. Le colpe e Vasco Rossi
Caro Avvenire, in treno ho assistito a una scena che mi ha turbato. Una scolaresca delle medie, di ritorno dalla gita a Verona, si è messa a cantare a squarciagola… Faccetta nera! Ancor più sorprendente che nessuno degli insegnanti sia intervenuto. Sono troppo suscettibile io o qualcosa sta cambiando nella percezione di ciò che è buono e ciò che non lo è?
Gianluigi Bresciani
Venezia
Caro Bresciani, c’è da sperare che la maggioranza dei ragazzi da lei incontrati nulla sappia delle origini e delle circostanze di quella canzone e sia stata trasportata nell’occasione da qualche compagno malizioso, nel contesto di una gita di classe, spesso ispiratrice di esibizioni musicali e di piccole bravate giovanili. Questa, ovviamente, è la prospettiva ottimistica. Una lettura meno edulcorata ci riporta ai suoi timori di un contagio diffuso e poco avvertito, in un subdolo ritorno dell’ideologia fascista (restando anche aperto l’interrogativo sull’atteggiamento permissivo degli insegnanti).
Ci sarebbe molto da dire su “Faccetta nera”, una marcetta orecchiabile che nell’intenzione del paroliere voleva sottolineare il ruolo di “liberatori” degli italiani impegnati a costruire l’Impero nell’Africa orientale: cancellare i rapporti schiavistici, soprattutto nei confronti delle donne, e instaurare un nuovo regime sotto gli auspici del Duce e del Re. Un colonialismo, quello voluto da Mussolini, tutt’altro che pacifico e inclusivo, macchiato come fu da crimini gravissimi. Peraltro, il successo del brano rese scontento lo stesso Mussolini, che impose alcune modifiche al testo, troppo incline a fare fraternizzare con i popoli neri la razza italica considerata superiore.
Ma non è questo oggi il punto, mi pare. Assistiamo a una banalizzazione di un passato che fattosi più lontano e non vissuto direttamente – la schiera dei testimoni diretti, ahinoi, si assottiglia inevitabilmente – acquista un’aura diversa e viene rivitalizzato da molta pubblicistica, che sfrutta e alimenta insieme simpatie di diversa origine. Questo per dire, caro Bresciani, che la responsabilità dei cori sul treno non ricade, secondo me, solo o soprattutto sui mutati equilibri politici, bensì dipende in buona misura dalla crescente riproposizione delle vicende del famigerato Ventennio sotto l’apparente volontà di raccontare obiettivamente ciò che accadde.
Non mi faccia fare nomi di più o meno noti intellettuali, divulgatori e giornalisti, assecondati o stimolati da editori e rete televisive, che non si risparmiano nel rievocare fatti e misfatti del fascismo. Nessuna apologia, tranne qualche raro caso, sia chiaro. Ma, in definitiva, una “normalizzazione” che passa e viene assorbita dai molti connazionali sprovvisti – in molti casi non per loro colpa – di una cultura storica sufficiente per contestualizzare e sviluppare un autonomo giudizio critico.
Se poi aggiungiamo la crescente sottovalutazione dell’ispirazione antifascista della Costituzione e della Repubblica, questa sì da attribuire a forze della maggioranza di governo, ecco che la situazione diventa perlomeno da osservare con attenzione. Non lancerei allarmi per la democrazia, perché evocare fantasmi che non sembrano alle porte rischia di indebolire anche una giusta causa. Mi ha però colpito quanto ha scritto recentemente un artista fuori dagli schemi, e per me geniale, come Vasco Rossi: “Non ci crederai – ha postato sui social rivolgendosi al padre che fu deportato dai nazisti e internato militare in Germania – ma sono tornati lupi travestiti da agnelli... bulli... arroganti e le facce ghignanti. Con i loro deliri... i loro dileggi... la loro propaganda... e la stessa ignoranza”. Assomiglia alla strofa già pronta di una canzone, magari da contrapporre a “Faccetta nera”. Per ora, mettiamola in musica.