«Possiamo perdonare un bambino quando ha paura del buio. La vera tragedia della vita è quando un uomo ha paura della luce», pensava il grande filosofo Platone. Quand'è così ci dev'essere qualcosa che non va. O che non vuole nascere, rivelarsi, esserci, ritornare a vivere. «Dolce è la luce e agli occhi piace vedere il sole», dice il Qoèlet all'inizio del suo ultimo e sublime inno all'incanto della vita umana (11,7). Folte sono le tenebre, però, in cui sempre la luce rischia di diventare livida e spesso dipende da noi. La fisica quantistica ci suggerisce che la materia è fatta di "quanti" vale a dire di particelle di luce. Sembra il ritornello di un principio originario: “Dio disse sia la luce”! Senza la luce, dunque, non possiamo vivere né nel corpo né nell'anima. Tanti sono i momenti in cui la malattia, il dolore, la debolezza, la violenza, la malvagità, ci conducono nei sotterranei più desolati e oscuri; opprimente è, oggi, per noi, quello della pandemia. Niente potrà impedire, allora, che dai più angosciosi bassifondi materiali, esistenziali e morali si alzi la nostra preghiera fiduciosa: «Il Signore è mia luce e mia salvezza, di chi avrò paura?» (Sal 26,1).