Si parte dalla fine per poi tornare indietro. I flashback sono ormai un espediente classico di quasi tutte le fiction tv. Ma nel caso della serie Il nostro generale (lunedì e martedì su Rai 1), dedicata a Carlo Alberto Dalla Chiesa, c’è qualcosa di diverso. Innanzitutto più che una fiction è una docufiction, ma fino a un certo punto, perché anche una parte delle immagini di repertorio sono volutamente ricostruite, ovvero ci sono repertori reali assieme a repertori creati ad arte, ricorrendo anche all’uso di vecchie telecamere e del bianco e nero per dare il senso della realtà, potremmo dire della cronaca, se non addirittura della verità storica. Al tempo stesso la vicenda di Dalla Chiesa (un bravo Sergio Castellitto) è raccontata, partendo appunto dall’agguato mortale, da Nicola (Antonio Folletto), uno dei componenti il Nucleo antiterrorismo creato dal generale, e quindi mediata dal suo punto di vista. Tutto questo consente maggiore libertà agli autori (Monica Zapelli e Peppe Fiore) e ai registi (Lucio Pellegrini e Andrea Jublin), anche se quanto detto prima (oltre alla consulenza del giornalista Giovanni Bianconi, dei Carabinieri e della famiglia) garantisce una sostanziale attinenza ai fatti, comunque giustamente romanzati, anche per poter raccontare la vita privata di Dalla Chiesa, marito e padre esemplare, che qui ben s’intreccia con la vita pubblica, altrettanto esemplare, del servitore dello Stato e in particolare del combattente contro le Brigate Rosse. Ed è proprio in questo equilibrio tra finzione e realtà il pregio maggiore di questa produzione Rai Fiction con Stand by me di Simona Ercolani che, al di là di qualche semplificazione (ad esempio sull’avvicinamento alla P2), riesce a trasmettere emozioni (grazie anche al sapiente uso della musica) e a rendere consapevoli.
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