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Con “Listen to me” la tv ritrova se stessa

Andrea Fagioli domenica 10 marzo 2024
La narrazione è l’arte che più si confà alla tv. Raccontare storie fa parte del suo specifico. Da qualche tempo anche per la televisione si usa il termine storytelling, che si riferisce appunto all’atto del narrare, possibilmente in modo coinvolgente e accattivante. Parte da qui, per quanto riguarda l’aspetto formale, anche Listen to me («Ascoltami»), il programma di Rai Contenuti digitali e transmediali (in onda il venerdì in seconda serata su Rai 3, ma già disponibile su RaiPlay con i sette episodi della prima stagione) in cui è sufficiente, come spiega la voce fuori campo sui titoli di testa, «un palco, un pubblico e tanti mondi da raccontare». In effetti, Listen to me propone delle persone che in una manciata di minuti, su un piccolo palcoscenico di fronte a un limitato pubblico di giovani, raccontano la propria storia, che dal punto di vista contenutistico diventa la vera particolarità del programma, il cui scopo è sfatare pregiudizi affrontando temi come l’omofobia, la disabilità, l’identità di genere o il cyberbullismo. Ecco allora che si presentano ragazzi di colore che con l’ironia e la comicità mettono alla berlina il razzismo, oppure la modella oversize che si mostra a tutti per quella che è, o ancora la ragazza albina e autistica che rivendica come la sua condizione non rappresenti un limite. Ma in questo viaggio nel vissuto degli altri non mancano anche storie più complesse come quella, tra l’altro piuttosto nota, del primo uomo single e omosessuale che in Italia è riuscito ad adottare una neonata con la sindrome di Down. Una storia sicuramente apprezzabile, ma che avrebbe bisogno di qualche riflessione in più, ad esempio sul fatto se sia giusto affidare a un uomo single una bambina di appena venti giorni, tenendo comunque conto e domandandosi perché prima di lui molte coppie uomo-donna abbiano rinunciato all’adozione della piccola. © riproduzione riservata