Ci è più facile ricordarci delle piccole gratitudini che gli altri ci devono, piuttosto che della gratitudine che ci rende smisuratamente debitori di tutti. Noi non facciamo caso, o non sempre, a quanto la nostra vita sia sostenuta da un'anonima coreografia di gesti che generosamente confluiscono incontro a noi; a quanto essa sia nutrita dalla quotidiana moltiplicazione di doni, dalla laboriosa fatica di una folla di conosciuti e di sconosciuti, dalla benevola cospirazione dell'amore. Non facciamo caso, o non sempre, a quanto noi dipendiamo da questo flusso di vita che è più grande di noi e nel quale tante donne e uomini si spendono a fondo. Ci è più facile considerare che tutto ciò che abbiamo è un diritto naturale e acquisito, anziché accettare la più palese delle verità: che la vita è dono, che le cose più importanti le riceviamo come pura grazia, che tutto ciò che ha a che vedere con l'amore ci supera. Ci è più facile oscillare tra rivendicazione aspra e brontolio esasperato, prigionieri di una sonnambula ingratitudine che si volge in labirinto, invece di trovare tempo per quella gentilezza spirituale che ci fa esprimere più e più volte la fondamentale riconoscenza che noi dobbiamo agli altri. Per questo ti prego, Signore: dammi un cuore buono, umile e grato. Dammi un cuore consapevole fino alla fine di essere un cuore ipotecato.