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Che cosa ci meritiamo davvero? Dal Vangelo la migliore risposta

risponde Andrea Lavazza giovedì 12 ottobre 2023

Caro Avvenire,
ho letto e apprezzato quanto scritto dal professor Becchetti nel suo articolo “Al di là del merito, si deve investire nella scuola”. Se il rischio attribuito alla “meritocrazia” è il perpetuarsi di già grandi disuguaglianze, la contrarietà al concetto di merito in sé necessita di una precisazione che traggo dal Vangelo. Anzitutto, ricordando la parabola dei talenti, ma anche l’esortazione di Gesù: «Gratuitamente avete ricevuto… gratuitamente date» (Mt 10, 8); ne consegue che il problema non è il merito (che serve anche alla società), ma il suo uso egoistico.


Prof. Giuseppe Bertoni


Gentile professor Bertoni, “Avvenire” si è occupato più volte di meritocrazia, anche con alcuni miei interventi. Gli ultimi cui si riferisce hanno preso spunto da una vigorosa difesa del merito svolta dal sociologo Luca Ricolfi. La prospettiva evangelica che lei introduce è non solo assai pertinente, ma anche funzionale al dibattito, in quanto rappresenta il versante sapienziale di una corrente di pensiero laica che converge sul punto. Come scrive Becchetti, «i nostri risultati dipendono da quattro fattori (sorte, nascita o condizioni di partenza, talento, impegno) e solo l’ultimo di questi può essere “meritato”». In realtà, possiamo dire che anche la disponibilità al lavoro e al sacrificio è una dote che discende dall’ambiente in cui siamo vissuti e dall’educazione che abbiamo ricevuto, fattori entrambi al di fuori del nostro controllo.


Non a caso si biasima una società che esalta gli influencer perché incapace di suscitare nei giovani l’impegno a costruire con dedizione il futuro proprio e altrui. Ma anche i geni hanno un ruolo in tutto ciò. Almeno una parte dei tratti del nostro carattere è scritta nel Dna, ed è difficile mettersi contro la natura. Questo non significa che dobbiamo rassegnarci a essere fatalisti e cinici. Abbiamo certamente un margine per svincolarci dalle influenze interne ed esterne, non siamo marionette senza capacità di azione autonoma. Dobbiamo però tenere in considerazione che l’idea di meritocrazia è spesso una giustificazione nobile per coloro che ce l’hanno fatta solo grazie alla fortuna e una condanna (ingiusta) per coloro cui il successo non ha arriso. La gratuità può essere allora la risposta migliore. Chi ha avuto tanto è tenuto a dare tanto, quello che abbiamo conquistato è sostanzialmente un “dono”.

L’altro giorno è morto a San Francisco Charles Feeney, inventore dei duty free, che aveva segretamente donato in beneficenza quasi tutti i suoi beni. Figlio di una famiglia cattolica di origine irlandese, ormai 92enne viveva in un modesto appartamento in affitto, anche se la sua ricchezza a un certo punto ammontava a 8 miliardi di dollari, tutti poi offerti per buone cause (non violente). Ai figli solo una “piccola” eredità. Pare che a 50 anni avesse avuto le prime crisi di coscienza. Forse aveva capito che, dopo la sua grande intuizione imprenditoriale e una vita agiata, era venuto il momento di “gratuitamente dare”.