A volte, Signore, è dal profondo del mio dimenticare che grido a te. So che sono io a distanziarmi, anche senza rendermene davvero conto; sono io a lasciar trascorrere le ore senza riconoscere il tuo passaggio; a lasciarmi isolare, quasi fossi un'isola; a opporre resistenza alla comprensione di fino a che punto il tempo può essere tempio, una tua dimora. Per questo, Signore, più che le parole, più che la mia presenza provvisoria e fragile, più che tutte le mie irrilevanze, ti consegno oggi la preghiera del mio dimenticare: questo rotolo di tessuto lungo e bianco che io, solitario, svolgo davanti a te, questo mio andare avanti alla cieca nel mondo, come non ti vedessi, questi miei orecchi divenuti sordi alla tua parola, questo mio vuoto riempito in fretta da tanto indaffararmi, questi miei progressi e involuzioni senza una ragione, questo mio confuso incedere di bimbo che tu, premuroso, sostieni, perché sai meglio di me che, anche quando mi disperdo, quando per errore mi metto a correre per non so dove, in non so quale fuga, anche quando io me ne dimentico, sto camminando verso di te.