Alleniamoci tutti a dare più umanità
Uno sguardo umano cambia la vita – e persino la morte. La città moderna alleva sguardi indifferenti e superficiali, sguardi che irridono scioccamente, sguardi torvi ad ogni empatia. Il virus che ci insidia cerca di approfittarne: ci mette paura dell'altro, insegna
a evitare lo sguardo. In una società dell'infotainment parolaio ed esibizionistico come la nostra, dove tutti guardano tutta l'oscenità possibile, e nessuno guarda più l'anima negli occhi, la solitudine ci affonda invisibilmente.
Gesù, nel vangelo, insegna a riconoscere una profondità radicale alla potenza dello sguardo. Lo sguardo non ci esprime soltanto, ci trasforma. Lo sguardo cambia la vita. «Se il tuo occhio è chiaro tutto il tuo corpo sarà nella luce» (Matteo 6, 22). E se il tuo corpo è luminoso «tutto sarà luminoso» (Luca 11, 36). Nella costrizione presente, che ci impone isolamento e distanza, abbiamo l'occasione per allenarci alla ricerca delle sorgenti di luce nelle persone e nelle cose della vita. Impariamo ad avvolgere di sguardi buoni coloro che sono avviliti dagli ostacoli assurdi che impediscono di ricevere aiuto: con tale intensità che gli azzeccagarbugli sentano che noi siamo testimoni sensibili a ciò che viene fatto al più piccolo tra noi. Impariamo ad apprezzare tutto il lavoro umano nascosto dalle ottuse forme della merce e del profitto: abbiamo cibo, medicine, oggetti utili, perché altri esseri umani – spesso in condizioni difficilissime – si adattano a produrre per noi. Impariamo a guardare la nostra stessa condizione umana, fragile e sensibile, con uno sguardo che le vuole bene e sa commuoversi per essa, chiunque ne patisca le ferite. Il Padre, che vede anche nel segreto, asciugherà ogni lacrima e colmerà di speranza i nostri sguardi buoni. Non uno andrà perduto.
Impariamo a nutrire, ogni giorno, sguardi buoni e diventeremo, ogni giorno, migliori. E anche più belli. Diventeremo fieri di essere umani, e non isterici e incattiviti di non essere sovrumani. Quando saremo liberi dalla costrizione, sapremo finalmente che fare della libertà: lo stavamo disimparando, ammettiamolo. La prima mossa, a presidio di una comune umanità felicemente ritrovata, sarà perciò questa. Alleniamoci fin d'ora a guardarci tutti, di nuovo, con occhi che comunicano umanità vulnerabile e prossimità disponibile, al di sopra delle mascherine: anche se non ci siamo mai conosciuti, anche se ci sfioriamo a debita distanza. Era tanto che non lo facevamo.