Opinioni

L'azzeramento dei fondi all'editoria. Una stampa pluralista serve alla democrazia

Francesco Zanotti venerdì 12 ottobre 2018

Caro direttore,
mentre avevo ancora fresco il ricordo della bella manifestazione di giovedì 11 ottobre, a Roma, per la cerimonia del primo annullo del francobollo celebrativo per i 50 anni di vita del giornale che dirigi, inserito fra le «eccellenze d’Italia», sabato mattina verso le 6 e mezzo ho letto sull’edizione digitale di "Avvenire" la notizia dell’azzeramento dei fondi per l’editoria non profit. Sono rimasto senza parole. Subito mi sono detto: non posso stare zitto. Dopo quasi due anni di assoluto silenzio a livello nazionale, non posso non intervenire.

Proprio mentre si parlava di come "Avvenire" favorisca il confronto e il dibattito nel Paese, arrivando anche in luoghi remoti, nelle cosiddette "periferie" giovedì sera molto evocate e oggi poco e male servite da Poste Italiane nonostante il rinnovato impegno annunciato dai vertici dell’azienda succeduti a quelli della destrutturazione del servizio, il Governo si apprestava a disfare quanto appena costruito dopo anni di lavoro.

Abbiamo impiegato lungo tempo, e la Fisc, la Federazione dei settimanali cattolici italiani, con le altre associazioni di categoria è sempre stata in prima fila nell’elaborazione della nuova normativa, per arrivare a una legge che non fosse più un sostegno indistinto a chi editava un qualsiasi giornale, ma si trasformasse in un aiuto a chi contribuisce realmente al pluralismo. Anche il nome della norma è mutato: "Istituzione del Fondo per il pluralismo e l’innovazione dell’informazione...", con un cambio totale rispetto al passato. Un salto di qualità anche per noi dei settimanali diocesani. Per noi e per tutti, con resistenze poi vinte alla luce della ragionevolezza e dei mutati tempi di ristrettezze. Non più soldi a pioggia, ma a chi effettivamente vende, è diffuso, contribuisce al dibattito nazionale, dà lavoro pulito e vero a giornalisti e poligrafici e dà voce ai territori.

Ci abbiamo creduto e ci abbiamo lavorato. A lungo. Quando lo racconto ad amici e conoscenti, tanti non riescono a credere che per scrivere un legge, pur modesta, occorrano anni di lavoro. Tempo prezioso, investito per arrivare a un obiettivo che tutti avevamo chiaro: dare una mano a editori non profit, trattati tutti alla stessa maniera, senza più "riserve indiane", intervenendo in percentuale (ridotta di molto rispetto al passato) sulle effettive vendite e non più sui costi. Un cambio radicale di paradigma, per giungere al quale abbiamo dovuto smussare angoli e demolire riluttanze. Ma alla fine ci siamo riusciti. Con fatica, tanta fatica, ma ci siamo riusciti, anche con soddisfazione. Ne parlammo, felici per il percorso realizzato, anche al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, quando ci ricevette al Quirinale, due anni fa, in occasione dei nostri 50 anni di Federazione.

Ricordo i sottosegretari alla presidenza del Consiglio con i quali abbiamo lavorato: Paolo Bonaiuti, Paolo Peluffo, Giovanni Legnini e Luca Lotti. E con loro voglio citare anche i capi di gabinetto del dipartimento dell’editoria: Elisa Grande, Ferruccio Sepe, Roberto Marino e il vice Francesco Iannelli. Fondamentale è stata anche la mediazione di Antonio Funiciello. Governi, sottosegretari, dirigenti di ogni estrazione e parte politica. Con tutti si è lavorato, ci si è confrontati, a volte anche duramente, ma sempre con l’intenzione di guardare avanti, avendo cura per l’interesse dei cittadini di questo nostro Paese e dell’informazione, un bene troppo prezioso per essere liquidato con una battuta da bar, un tweet, un referendum lanciato online.

Tutto questo lavoro, realizzato per giungere a una normativa adeguata alle mutate esigenze e anche al sentire di questi nuovi tempi che richiedono non solo più la sola presenza in edicola, ma anche sulle piattaforme digitali, pare che debba andare già in soffitta. Mi si stringe il cuore al solo pensiero. Non lo dico per me, per il mio posto di lavoro. Lo dico per l’ulteriore povertà che si aggiunge a questa nostra Italia in cui non si ragiona più con pacatezza, ma tutto si risolve a suon di slogan, di manifesti postati sui social, di video su Facebook, di foto su instagram, senza il desiderio di ascoltare le ragioni di chi non la pensa nella stessa maniera.

Voglio credere, e sperare, che in proposito ci possa essere un ripensamento. Il pluralismo dell’informazione è troppo importante per la nostra vita democratica. Un bene essenziale, a cui non si può rinunciare. Favorire la presenza di più voci non è un regalo a nessuno, ma una necessità per assicurare quel sano dibattito, a mio avviso indispensabile, su cui si costruiscono le democrazie più evolute, anche a costo di una manciata di milioni di euro, un’inezia nel bilancio dello Stato. A meno che non si tratti di una vicenda solo politica. Una scure lanciata verso quanti non la pensano come chi ora si trova al comando del vapore.
* già presidente della Federazione italiana settimanali cattolici