Opinioni

Vivere e morire senza dolore. Una donna famosa, una verità nascosta

Maurizio Patriciello sabato 13 gennaio 2018

Gli anni passano, il corpo invecchia, le malattie avanzano. La nostra vita, anche quando si fa faticosa e dura, è sempre immensa, unica, irripetibile. Non è vero che la giovinezza, la ricchezza, il successo, la bellezza fisica diano all’essere umano una sorta di supplemento di dignità su questa terra. In questa menzogna, purtroppo, le generazioni inciampano spesso. Non è vero che la vita sia degna di essere vissuta solo quando ci sorride ed è in discesa.

Ci sono cose che si imparano solo nel silenzio della notte, quando, con gli occhi spalancati come due voragini, i dolori che ti fanno compagnia, i pensieri che ti affollano la mente, ti poni con estrema serietà le domande antiche: e adesso? Dove vado? Ci sarà qualcuno ad attendermi? Quando davanti allo specchio stenti a riconoscere quel volto sfigurato e stanco che ti fissa. Che succede? Alla fine il corpo ti ha tradito? Proprio quel corpo cui avevi dato il meglio di te stesso? Questo tempo non è da rigettare, rinnegare, maledire. Al contrario, è un tempo prezioso. Merita attenzione: ascoltalo. Siamo eterni, è vero, ma non su questa terra. Anche l’ultimo, faticoso, tratto della vita è vita vera. Vita nostra, da attraversare, gustare, condividere.

È l’insieme che fa il tutto. Il puntino invisibile che fummo nel grembo della mamma si è trasformato milioni di volte. Per alcuni i giorni sono scivolati via con più serenità; altri invece hanno dovuto scavare con le unghie il pane da mangiare. Non chiedetemi il perché, non ve lo saprei dire. Le gioie, piccole o grandi, però, sono per tutti. Gli abbracci non si comprano, non si pagano, non si barattano. Ogni mamma sa donare e ricevere amore. Ogni innamorato può sperimentare l’ebbrezza di "sentirsi in due".

L’ultima misteriosa, ineluttabile trasformazione sarà la morte. Troppe volte siamo stati ingiusti con lei. L’abbiamo confinata nella lista nera delle cose di cui tacere. Mai errore fu più madornale. E quando non voleva saperne di togliere il disturbo tentammo di sfidarla come si fa con un nemico, a volte anticipandone il momento. Eppure Francesco, il Poverello, la chiamava «sorella». Sorella morte è parte integrante della vita. La sua amicizia rende più belle e appetitose le nostre ore. Quando si avvicina troppo potrebbe impressionare, è vero, ma non sempre è così. Il vero dramma è che spesso è preceduta o accompagnata da una sofferenza atroce.

Mentre scrivo penso a mio fratello operato di cancro. Lucidissimo, sono mesi che non mangia, non beve, non parla. Soffre, soffriamo insieme. Insieme stiamo imparando a vivere e morire; ad amare e servire. Alla scuola della sofferenza si cresce e si migliora, si diventa umili e pensosi. Quando il dolore è tenuto a bada, Franco ci fa capire che è contento di vivere e di averci accanto. È il dolore che ci terrorizza; è il dolore, quindi, il nemico da combattere. È la battaglia contro il dolore che dobbiamo, a tutti i costi, vincere. Attutire i suoi morsi insopportabili vuol dire donare la serenità ai nostri cari oggi e a noi stessi domani, e continuare a gustare i giorni che si fanno brevi. Il tempo ultimo è un tempo libero da farse e orpelli di ogni tipo; il tempo che non si fa ingannare da niente e da nessuno; che ci fa sorridere per le stagioni in cui credemmo di essere l’ombelico del mondo.

Per questo dico grazie a Marina Ripa di Meana per il testamento che ha voluto donarci. Grazie, Marina, perché quelle parole, dettate in quel momento da una persona famosa come lei, non possono passare inosservate. Grazie per l’umiltà, il coraggio, l’onestà che ha avuto nel confessare che nulla sapeva della medicina palliativa. «Io che ho viaggiato con la mente e con il corpo per tutta la mia vita – ha detto – non sapevo, non conoscevo questa via».

La via che Maria Antonietta Coscioni l’ha invitata a percorrere, quando le disse di volere andare in Svizzera per il suicidio assistito, rispondendole: «Ora so che non devo andare in Svizzera... Ora so che anche a casa propria, o in un ospedale, con un tumore, una persona deve sapere che può scegliere di tornare alla terra senza ulteriori e inutili sofferenze. Fallo sapere, Fatelo sapere». Fate sapere, cioè, che la medicina palliativa riesce a lenire le sofferenze del malato e rende più sereno l’ultimo tratto del suo cammino. Ciò che questo giornale fa, da anni, e che altri sistematicamente nascondono per invocare, invece, la 'morte a comando'. In verità in tanti lo stiamo facendo da sempre.

Oggi ci auguriamo che, anche grazie a questa lucida testimonianza, quella via – l’unica via veramente umana – venga resa sempre più accessibile a tutti gli ammalati ai quali la sofferenza atroce strazia gli ultimi, preziosiosissimi, irripetibili giorni. Allontanando da loro la tentazione di chiedere di farsi 'accompagnare in Svizzera' perché il dolore che non abbiamo saputo o voluto sedare si è fatto insopportabile.