G7. Tre buone cose da fare con i soldi della MultiTax
L’accordo sulla tassazione delle grandi imprese raggiunto dai ministri dell’Economia e delle Finanze del G7 è stato definito storico. Nel comunicato si legge che ci si impegna a una tassazione sui profitti delle grandi imprese con un’aliquota che sia almeno del 15%, applicata Paese per Paese. La proposta precedente, avanzata dagli Usa era più ambiziosa: l’aliquota era del 21%. Intanto, abbiamo un buon punto di partenza condiviso. Salutata da tutti come una buona notizia, perché è un passo deciso verso la lotta ai paradisi fiscali. Oggi è possibile, per le multinazionali, eludere le tasse vigenti nei Paesi in cui operano, ponendo la propria sede fiscale là dove le tasse sono molto basse. Tutto ciò genera una competizione al ribasso tra Stati, per poter attrarre le multinazionali. Chi ne è colpito sono i beneficiari dei servizi derivanti dalla tassazione, e cioè i cittadini, soprattutto i più poveri. Questo è uno di quei casi in cui solo un forte accordo multilaterale può interrompere una catena dannosa e perversa.
Quanto sia importante che le imprese lavorino a servizio e a beneficio della comunità, lo avevano capito già nel Quattrocento i francescani. Essi invitavano, infatti, a guardare alle imprese come quei luoghi e quelle attività che devono dimostrare alla collettività di non sottrarre ricchezza al bene comune. Un’impresa non può e non deve essere uno strumento per far arricchire qualcuno a scapito di altri. Un’impresa è affidata in custodia a chi deve farla funzionare al meglio, perché sia a servizio di tutta la collettività. Non è sufficiente destinare parte degli utili alla filantropia: non è una questione di beneficenza, ma di giustizia. Non è giusto, né etico eludere le tasse e poi regalare le briciole a chi con tutta probabilità è stato deprivato di servizi essenziali derivanti dall’uso collettivo della tassazione. Ora che, grazie alla pandemia, stiamo capendo sulle nostre vite e su quelle dei nostri cari cosa vuol dire non sottrarre ricchezza al bene comune, per potersene servire quando ne abbiamo bisogno, forse possiamo far tesoro dell’esperienza nel pensare le imprese del futuro.
Il comunicato del G7 rappresenta un messaggio rivolto ai ministri dell’Economia e delle Finanze del G20, che si incontreranno tra circa un mese, perché ci sia accordo per procedere spediti nel progetto di riforma della fiscalità internazionale in sede Ocse. Esso si basa su due pilastri: il primo concerne le regole di allocazione dei profitti di una multinazionale in diversi Paesi, e non solo dove è stabilita la sede legale, e il secondo mira a garantire un livello minimo di imposte sugli utili. Bisogna ancora accordarsi su come sarà definito l’imponibile da assoggettare a tassazione minima e come avverrà la redistribuzione delle risorse aggiuntive che si verranno a creare. A quest’ultimo proposito, esistono almeno tre emergenze che chiedono risposta immediata a livello globale: l’estensione delle vaccinazioni ai Paesi in difficoltà e con poco margine di spesa pubblica, un piano di finanziamento globale per le crisi alimentari, sempre più preoccupanti, e il supporto alle componenti più deboli delle società per l’uscita dall’indebitamento che si è creato durante la pandemia.
Da una crisi non si esce uguali: o migliori o peggiori, continua a ripetere papa Francesco. Ne usciremo migliori se riusciremo a garantire che il vaccino, bene comune globale, arrivi a tutti. Se riusciremo a investire su progetti di ricerca perché i vaccini possano essere conservati a temperatura ambiente ed essere distribuiti anche laddove l’energia elettrica è a volte un lusso. Se sapremo sfamare chi ha fame contribuendo anche a costruire sistemi alimentari resilienti. Se sapremo sostenere chi, colpito dagli effetti della pandemia e dalle norme di contenimento, si trova in situazioni di sovraindebitamento, rischiando magari di perdere la casa perché non riesce a pagare le rate del mutuo. Sapranno gli Stati sfruttare questa occasione? Saprà l’Europa essere lungimirante? Pensiamo a come sarebbe bello se tra molti anni, quando si racconterà la storia della pandemia da Covid-19, si potesse dire: seppero costruire un nuovo sistema sociale ed economico globale, basato su regole eque, di solidarietà e fraternità.