Opinioni

La grotta thailandese ha nascosto e rivelato. Sono tutti salvi (e anche l’umanità)

Ferdinando Camon mercoledì 11 luglio 2018

L’unica cosa che contava era salvarli tutti, i ragazzi thailandesi intrappolati nella grotta, e li hanno salvati tutti, quindi onore ai salvatori. Noi che in tutto il mondo abbiamo seguito le operazioni ci sentiamo un’unica famiglia, come se i salvandi fossero nostri figli. Quando l’umanità cammina sulla strada di questa spartizione del bene e del male, cammina sulla strada buona. Il che non vuol dire che tutto sia perfetto: in contemporanea con il salvataggio di questi dodici giovani giocatori di una squadra di calcio thailandese giungeva sul mondo la notizia di una catastrofe naturale in Giappone, un nubifragio che causava oltre un centinaio di morti e un numero incalcolabile di dispersi, e tuttavia il mondo ha seguito e ha patito molto più il salvataggio thailandese che la catastrofe giapponese, perché?

Perché i protagonisti thailandesi sono ragazzi, perché sono imprigionati, perché a salvarli concorrono americani, inglesi e personale militare e sanitario di tutto il mondo, sicché se l’operazione fosse fallita sarebbe stato un fallimento dell’umanità.

Ragion per cui ad ogni gruppetto di ragazzini tirato fuori dalle viscere della terra un lampo di gioia sprizzava nelle nostre case. A operazione finita, il senso di liberazione è totale. No, non totale. C’è quella vittima a sminuire la vittoria, a invalidarla, quel sub morto per mancanza d’ossigeno, mentre stava tornando alla base. Non doveva succedere. L’ossigeno nel cunicolo della prigionia era sceso dal 21 % al 15 %, e il sub ci ha avvertiti con la propria morte.

L’operazione è stata più pericolosa e più difficile, quindi più faticosa e più eroica, di quanto noi pubblico venissimo a sapere. Non ci dicevano tutto. E quel che non dicevano e non mostravano era il cuore della notizia. Perciò questo resta un evento che ancora ci sfugge. Pareva che sarebbero partiti dal salvataggio dei più forti. A quanto si capisce non è vero, son partiti dai più deboli. Appena portati fuori, i ragazzi venivano imbarcati su ambulanze e fatti sparire.

Alcuni addirittura su elicotteri. Non davano i nomi dei salvati, si riservavano di darli a operazione terminata. Può essere deontologicamente corretto, ma quando due terzi dei prigionieri erano ormai liberi, nessun genitore era libero dall’angoscia. Con la seconda ondata di liberazione, ci han detto che tutti i liberati eran coscienti, mentre nell’ondata precedente, la prima, uno era stato portato fuori incosciente. La seconda ondata ci è passata davanti invisibile: i salvati eran nascosti da grandi ombrelloni bianchi, evidentemente c’era qualcosa che non dovevamo vedere, e che dunque non abbiamo visto e non sappiamo. Chissà se verrà mai un giorno in cui lo sapremo.

È un salvataggio più difficile, più complesso e più rischioso di quanto ci aspettavamo. Durante la prigionia, erano i prigionieri a confortare i genitori: 'Siamo forti', ' Stiamo bene', 'Fateci il pollo fritto'. Adesso apprendiamo che perché ce la facessero a uscire sono stati rimpinzati con un super-cibo dei marines, che li riforniva di tutte le sostanze che il loro organismo aveva perduto nella prigionia, che vuol dire anche nel digiuno. Tra i salvati dell’ultima ondata, quella di ieri, c’era un ragazzo con sintomi di polmonite, e la polmonite è una malattia che i profani di medicina, come me, conoscono sotto forma di due citazioni, una pessimista e una ottimista.

La pessimista: 'È una malattia breve ma grave'. L’ottimista: 'È una malattia grave ma breve'. Questo ragazzo ha soltanto i sintomi, e speriamo che se ne liberi subito. Salvarli è stata una battaglia durissima, durata a lungo, con la partecipazione di associazioni e volontari di diversi popoli, di diverse civiltà, di diverse religioni. La battaglia è stata vinta ieri. Da una battaglia così l’umanità esce migliore.