Botta e risposta. 76 anni di civile impegno dalla parte della vita di piccoli e poveri
Caro direttore,
vorrei rivolgermi a Gianfranco Marcelli che nella sua rubrica 'Euroframmenti' (martedì 12 luglio 2022) ha scritto di aborto e di guerra. Lo faccio alla mia maniera e sul filo della memoria. Vendetta. Un interlocutore mi ha chiesto: da quanto tempo lei è impegnato a difendere la vita prenatale? Ho fatto una lunga pausa, poi, con sua sorpresa, ho risposto: 76 anni! E gli ho raccontato: Maggio 1946, era in corso la campagna per il referendum su Monarchia e Repubblica, alla Casa del Popolo (ex casa del Fascio) arrivò un certo Napoleone Porro, gagliardo oratore, che descrisse il nuovo corso magnifico e progressivo, portando come esempio l’Unione Sovietica. Io ero con mia mamma Carolina. Chiesi la parola, e dissi di non avere elementi per contraddire le prospettive indicate dal brillante comiziante, salvo constatare che, purtroppo, Lenin aveva legalizzato l’aborto. Apriti Cielo. Insorsero alcune donne: « Ti Carulina il tu fieu, che schifus, parlà da chi rob lì ch’in robb di donn... » (Carolina, ma che schifoso il tuo figliolo a parlare di quelle cose sì che son cose di donne...). Intermezzo. Mia mamma, Antonia Trentini sposata Ghielmi (e poi chiamata Carolina), era donna di solide convinzioni, pur avendo fatto tre volte la quarta elementare (perché al paese non c’era la quinta) e lo aveva già dimostrato in altre occasioni. Per esempio, quando per 'salvare la Patria' si era invitati a donare l’anello nuziale. Lei si rifiutò e le dissero: «Proprio con il Duce, che ama le famiglie numerose...». Anche allora si commentò con duro stupore e più di un sussurro: «Come si permette... ». Ma lei si permise. E i sussurri aumentarono: « Carulina, quela lì cun tutt quei fieu lì, la farà semper la miseria » (Carolina, con tutti quei figli, farà sempre la miseria). Noi, però, eravamo poveri (materialmente) e non miseri, con la ricchezza di genitori onesti e generosi. Io ero secondo, e dopo di me ne arrivarono altri sette. Fine dell’intermezzo. Vendetta e riscatto. I miei genitori mi sostennero fino al diploma di contabile (frequentai l’Avviamento professionale: tre anni dopo la scuola elementare), di più non potevano fare. Quindi lavorai come contabile e controllore nella raccolta del latte (ma anche come 'operatore agricolo', falciando con la ranza). Ho studiato da privatista, molto da solo (ma anche avendo qualche eccellente consiglio per buone letture). Mi andò bene nel superare gli esami di scuola media e, specialmente, una furbesca maturità. E mai ho mai perso la convinzione che è un dovere, anche mio, difendere la vita, la famiglia, l’onore del padre e della madre e soprattutto l’irrevocabile diritto dei poveri a una vita dignitosa, checché ne dicano i cosiddetti potenti e sapienti...
Lei parla di 'vendetta', caro e stimato dottor Ghielmi. Immagino riferendosi al corale stupore provocato dal suo antico e coraggioso intervento pubblico dicendo l’indicibile su Lenin, legalizzatore dell’aborto in Unione Sovietica, e su un tema duro e 'proibito'. Disegna poi un 'intermezzo', ricordando il dignitoso rifiuto di sua mamma di acconsentire alla propaganda e ai riti pubblici del regime mussoliniano. E parla, infine, di 'riscatto': nei confronti delle profezie di sventura e di miseria per la sua famiglia d’origine, così generosa nell’accogliere figli malgrado la durezza dei tempi. Profezie smentite anche nel corso della sua personale e luminosa esistenza, spesa in tanto onesto lavoro e, per civile passione, a difendere senza soste la vita nascente. Anche gli attuali conflitti che viviamo, purtroppo, sembrano darle nuova ragione. L’ha scritto lei stesso, in una recente poesia: «Eppure la mattanza dei non nati / permane come la più grande guerra». Sono stati 42 milioni gli aborti nel mondo l’anno scorso. Madre Teresa parlava di una 'nuvola' buia e minacciosa, preludio di nuovi lutti planetari. Ma se in tanti seguiranno la sua testimonianza, si può e si deve continuare a sperare che la vita abbia la meglio. E che la piaga dell’aborto venga svuotata di tutto il dolore che contiene, e sia curata e possa rimarginarsi. Grazie, anche a nome del direttore, per la costanza e l’attenzione con le quali segue il lavoro di 'Avvenire'.
Gianfranco MarcelliDesidero aggiungere alla bella risposta dell’amico e collega Gianfranco Marcelli, già vicedirettore di 'Avvenire', solo il mio grazie. Per la sua amicizia, caro Silvio, e per la sua testimonianza. Una vita sempre dalla parte della vita, la sua, e soprattutto quando la vita è piccola, fragile, povera, migrante... senza eccezioni, senza esitazioni. E costantemente in dialogo con questo giornale e con chi, di volta in volta, ha la responsabilità di dirigerlo. Glielo dico oggi pubblicamente, ma lei lo sa già: in questi anni di mia direzione, le sue lettere – come quelle di alcuni altri amici – sono state e sono frequenti e continuano a farmi compagnia, a darmi forza, a farmi pensare e anche quando non vengono pubblicate sono sempre lette e apprezzate, e non solo da me. Quale che sia il colore e la pesantezza del pensiero dominante, lei – degno figlio di mamma Carolina – prosegue una storia bella e controvento, nella direzione giusta. Grazie ancora. (M.T.)