Semplicistico e sbagliato dire e scrivere di attacchi «tradizionalisti» al Papa
Caro direttore,
so che i tempi televisivi sono tiranni ma il bel servizio di Riccardo Iacona a “Presa diretta” sugli attacchi al Papa può essere completato dando spazio a due realtà antibergogliane solo accennate. La prima riguarda il “tradizionalismo identitario” o l’etnonazionalismo religioso diffuso soprattutto nell’Europa orientale e in Russia con la rete collegata alle iniziative euroasiatiche del filosofo Alexander Dugin (con ricadute italiane). La seconda concerne il “progressismo relativistico”, ipercapitalistico e laicistico, di imprese multinazionali, aziende e gruppi economici di cui ha scritto molto bene il suo collega Nello Scavo nel libro “I nemici di Francesco”, cui si può aggiungere il progetto transumanista della californiana University of Singularity di Ray Kurzweil. Non siamo, dunque, in presenza solo di “tradizionalisti” (se bene intesa, tradizione è parola bella e grande). A contrastare il Papa converge un impasto inedito di forze a volte opposte tra loro, uguali e contrarie, che vogliono screditarlo (usando anche la figura di Ratzinger) e stanno preparando campagne mediatiche miliardarie in vista del prossimo conclave. Da parte mia, penso sia necessario ribadire che l’annuncio gioioso del Vangelo, la rivoluzione della tenerezza, la geopolitica della misericordia (o della nonviolenza attiva), la cura del creato, l’indicazione di una Chiesa “in uscita”, samaritana e conviviale, rappresentano piste necessarie non solo per testimoniare la fede e garantire la credibilità ecclesiale ma anche per il futuro dell’umanità. Lo riconosceva il sociologo Zygmunt Bauman (“Jesus”, settembre 2016): «Papa Francesco è il più grande dono offerto dalla Chiesa cristiana al mondo contemporaneo. In questo momento è la più importante personalità (forse l’unica tra i personaggi pubblici dotati di una paragonabile autorità mondiale) che incondizionatamente e senza ambiguità usa l’arte e la pratica del dialogo sopra tutti gli altri strumenti (e soprattutto la coercizione militare) per salvare l’umanità dalla minaccia del disastro. Possiamo solo pregare che la sua parola si incarni nelle nostre azioni».
La sua, caro amico, è un’analisi rapida e acuta che condivido in gran parte e, certamente, nella conclusione-invocazione baumaniana. Con un paio di sottolineature, ancora più rapide. La prima: gli amici lettori sanno bene che non sopporto di sentire e vedere usata come sinonimo di conservatorismo reazionario e addirittura di chiusura ostile all’altro la parola “tradizione”. Ricordo spesso che “tradizione” deriva da un verbo latino, “tradere” (trasmettere) che è un verbo di cammino e di condivisione, di sviluppo e di dono. Una parola che ha una radice viva e, in senso cristiano, ha un’indole davvero sinodale. La seconda: a proposito del tentativo di “usare” il nostro amatissimo papa emerito Benedetto XVI contro Francesco. Possono provarci e purtroppo ci provano, ma come si è visto non possono riuscire, perché l’amore alla Chiesa e la fedeltà al Papa da parte di Joseph Ratzinger sono senza ombre, calcoli ed esitazioni. Chi è cattolico, o almeno in buona fede, tutto questo lo ha chiaro.