Chi agisce per gli altri. Ricominciare l'incarnazione dalle mani di un volontario
In questi giorni si avverte forte, accanto alla gioia e alla fatica del Natale, una sensazione come d’attesa. Attesa di qualcosa di nuovo, di speciale; qualcosa che sappia rinvigorire le nostre anime infiacchite dallo sforzo di rimanere positivi anche di fronte a scenari sociali deprimenti.
Se mantenessimo un cuore giovane, basterebbe questa lunga celebrazione del Natale a ridonarci nuove energie; ma molti di noi avvertono una riduzione della capacità di autorinnovamento, magari solo grazie alle note familiari di un canto di Natale; percepiscono come una sclerotizzazione dell’immaginario e della forza progettuale.
È che il disincanto collettivo si è fatto corazza individuale, solitario rifugio di chi troppo si è fidato e oggi si ritira nel caldo nido di casa (quelli che ce l’hanno, una casa). E questo dovrebbe bastare. Ma, si sa, non basta. Perché il clima sociale è davvero soffocante, le diseguaglianze definiscono perentoriamente il posto che spetta a ciascuno, lo spettacolo della politica lascia annichiliti di fronte a deputati che si spintonano come se fossero allo stadio, il nostro debito ci ricorda ogni giorno che è da un bel po’ d’anni che la classe dirigente del Paese si è, come dire, distratta.
Il nostro bisogno di rinnovamento, la nostra attesa di rinascita, la nostra voglia di nuova vita cerca un appiglio, ma un’incarnazione di Dio ridotta dalla pubblicità a un 'rituale gourmet' non è abbastanza. Eppure non è tutto così grigio, ci sono finestre da aprire, gente nuova da conoscere. Ci sono ancora tante persone che credono con molta semplicità nella possibilità di rinnovarsi, di costruire il Bene. Nella società, pian piano sta nascendo un nuovo tipo di umanità, «forse sta crescendo qualcosa di meraviglioso» come si diceva in un vecchio film di fantascienza.
Centinaia, migliaia di persone che scelgono di uscire da sé stesse per specchiarsi negli occhi stanchi di un senza dimora, per bussare alla porta di un anziano emarginato, per coccolare il bambino di una madre sconosciuta e senza futuro. E lo fanno con le motivazioni più diverse, non sentendosi per questo dei santi... Può tornare utile riaprire una ricerca sul volontariato della Caritas di Roma che ci fa 'incontrare' le migliaia di volontari che sono passati dalla Caritas, molti per restarci per lungo tempo. Donne, giovani, anziani, uomini. Ognuno col suo percorso, non necessariamente di fede: alcuni hanno scelto di fare i volontari perché sentono di aver ereditato dai propri genitori un patrimonio di ideali e di valori che vogliono far vivere. Altri, delusi dalla politica, si impegnano nei territori per costruire una società meno ingiusta e squilibrata. Altri ancora riconoscono di aver avuto tanto dalla vita e sentono come il bisogno di una restituzione.
E poi ci sono i curiosi di vita , gli empatici, quelli che dicono: 'Lo faccio per me stesso, fare il volontario mi fa sentire bene'. E ci sono quelli che sono mossi da un istinto protettivo, quelli che si sentono in colpa per essere benestanti di fronte a tanti in difficoltà, e i pensionati che godono della libertà di fare finalmente cose che ritengono importanti. E, soprattutto, ci sono i 'cercatori di senso', quelli che vogliono riempire un vuoto invasivo. È un giacimento di energia vitale e sacra, che si china davanti al mistero del fratello disperato per trasmettergli un po’ del suo calore. È un uscire dalle routine del nostro vivere per guardare il mondo da un altro punto di vista, quello degli ultimi…
Per rinnovarci abbiamo bisogno di un’energia divina. Spegniamo la tv e guardiamoci attorno: il ragazzo sorridente che porge una bevanda calda alla vecchia signora 'senza dimora' in fondo alla strada, non è un’eccezione, è una testimonianza concreta che traccia una strada. Nel suo gesto umile di solidarietà risuona l’eco autentica della rinascita evangelica.