Ineluttabile la fine di Vincent Lambert. Questo calcolo letale e straniero
«Questa volta è finita. I nostri avvocati hanno moltiplicato i ricorsi per fare rispettare l’appello sospensivo davanti all’Onu che ha giovato a Vincent. Tutto invano». La morte di Vincent Lambert è ormai ineluttabile, e suo padre e sua madre, Pierre e Viviane, ringraziano in una lettera affranta quanti sono stati loro vicini con le parole e con le preghiere, in lunghi anni di battaglia. Ma la battaglia è finita, e perduta: quel figlio 43enne, tetraplegico dal 2008 dopo un incidente, in «stato vegetativo permanente irreversibile» secondo i medici dell’ospedale di Reims, va incontro a morte inesorabile. Dal 2 luglio gli sono state sospese alimentazione e idratazione. Vincent muore dunque di sete e di fame, mentre una sedazione profonda indotta lo precipita nella più buia incoscienza. La battaglia è finita, e la manifestazione pubblica indetta ieri a Parigi per Lambert è stata annullata. Gli avvocati costretti a abbandonare, e i genitori, fra poche ore, pure se ne andranno da quella stanza d’ospedale portando con sé le foto, i ricordi, le immagini sacre che riempiono le pareti attorno a un malato grave, e su cui gli sguardi di chi spera si aggrappano, tenaci.
Da una settimana senz’acqua né cibo, un uomo già debilitato non torna indietro. Ormai è tardi. È andata come doveva andare secondo i medici di Reims e la giovane moglie e tutore del tetraplegico, ferma nel sostenere l’abbandono delle cure, dopo 11 anni. "Stato di minima coscienza", era la diagnosi medica. Vincent, completamente paralizzato, non parlava, non mostrava alcuna relazione con l’esterno. Dormiva e si svegliava, questo sì; e aveva gli occhi aperti, begli occhi scuri che facevano del suo viso ancora giovane un’icona della sofferenza umana. Occhi spalancati che inducevano domande aspre: stato vegetativo permanente, una situazione, dicono, senza rimedio. Ma, e quegli occhi? Cosa c’era in fondo a quello sguardo, e che cosa definisce un uomo?
Sul fatto che Vincent dovesse vivere oppure no, si sono accapigliati a colpi di carte, appelli e controappelli i Tribunali di Francia. Consiglio di Stato, e anche Corte Europea dei diritti dell’uomo. Poi la Corte d’appello di Parigi, in osservanza di una raccomandazione dell’Onu sui diritti dei disabili, ribalta la situazione.
Ma di nuovo, la Cassazione francese ordina la cessazione di ogni trattamento. Decine e decine di erudite toghe nere si sono chinate sul diritto di Vincent Lambert a vivere, oppure no. No, hanno deciso infine. Ciò che accade a Reims, a rifletterci, fa una profonda impressione. Vincent Lambert non è in stato di morte cerebrale. E il suo cuore batte spontaneamente, il suo respiro non ha bisogno di macchine. Non è un paziente terminale, non stava, fino a pochi giorni fa, morendo. È semplicemente un disabile molto grave, in stato di "veglia non responsiva". Nella sola Francia ci sono 1.700 malati in condizioni simili. Non parlano, all’apparenza non reagiscono. Tuttavia respirano, il cuore marcia quieto, gli occhi sono spesso aperti. Basta la mancanza di rapporto con l’esterno, a decretare che occorre dare loro la morte? Quanti anziani persi nella demenza grave, quanti altri disabili gravi allora vivono, e vivranno fra pochi anni in questa Europa che invecchia, come il giovane uomo di Reims? Che, pure essendo infermiere psichiatrico, non aveva lasciato alcuna volontà di fine vita. Sta decidendo per lui la moglie, che parla di «accanimento intollerabile». Per la madre e il padre, invece, nutrire e dissetare il figlio è semplicemente naturale. È un dovere, e un umano inalienabile diritto. Hanno combattuto come leoni, davanti a tutte quelle toghe nere. Nostro figlio vive, dicevano semplicemente, lasciate che viva. Sembrava, in fondo, una questione semplice. Si è uomini o no, in "stato vegetativo permanente irreversibile"?
Che tutto dipenda da cosa ne pensa colui che ti ha in affido? Se per lui, o lei, sei ancora un uomo, o solo un resto, un involucro svuotato di vita e abbandonato alla deriva come una bottiglia nel mare. Se per chi ti ha in affido sei un uomo vivi, altrimenti no. Come nell’aborto: il concepito è un figlio, oppure, se non lo ritieni tale, è un nulla. Eppure, l’essere uomini dovrebbe essere un attributo oggettivo, fisso, indomabile. Il dramma che va a compiersi a Reims, antica Francia cristiana con la sua prodigiosa cattedrale, è un netto cedimento nel nostro sguardo sul vivere e il morire. Vegeta semplicemente, non ha alcuna reazione, è del tutto impotente: dunque, gli si tolga l’acqua e il cibo. Un blogger e medico francese laico ha scritto in questi giorni sul web: «L ’affaire Lambert farà progredire il nostro sguardo sulla morte». Quell'ineludibile 'progresso' sull'uomo e il suo significato che ci promettono da tre secoli avanza, e sempre più mostra il suo volto: calcolatore, non umano. Come a noi straniero.