Ascensione, Pentecoste. Queste due feste da capire e rifare davvero nostre
Ascensione e Pentecoste sono due Solennità che ai tempi nostri restano piuttosto neglette, come se ormai le capissimo poco. Ci si arriva praticamente senza accorgersene e tutto si consuma in un’oretta scarsa di Messa con qualche evocazione di scene evangeliche e di simbologie non sempre chiarissime. Invece, dentro c’è un viaggio che parte dal mattino di Pasqua e prosegue con altre feste importantissime: Corpus Domini, Trinità, Sacro Cuore, un percorso liturgico di cui a noi sfugge ormai il senso e che rischiamo di passare nell’indifferenza e nell’incomprensione.
Nella Liturgia delle Ore dell’Ascensione sant’Agostino dice: «Noi dimorando quaggiù siamo già con Lui; Cristo pur trovandosi lassù, resta ancora con noi». Ascensione e Pentecoste sono la storia di una salita (quella di Gesù) e una discesa (quella dello Spirito Santo) ma proprio questo collegamento tra noi, il Corpo di Cristo e lo Spirito Santo – che è l’essenza di queste feste – è ciò che è difficile da capire: perché 'difficile da capire' è per noi la relazione del soprannaturale nel corpo dell’umano.
Pensiamo al dogma del peccato originale. Perché noi siamo collegati a Adamo ed Eva? Perché il loro peccato ferisce noi nella carne e nell’anima? La spiegazione del perché noi rimaniamo collegati con Gesù e Lui con noi nonostante Cristo ascenda al Cielo, la dà Cristo nell’Ultima Cena quando dice di essere Lui la vite e noi i tralci: ancora una volta però proprio questo collegamento, mistico ma realissimo, è ciò che è difficile da spiegare. Gesù non dice, come fa altre volte nel Vangelo, di stare facendo un paragone: parla all’indicativo. Lui è la vite, noi i tralci, il Padre è il vignaiolo: ma come è possibile tutto ciò? Ricordiamo che l’Ascensione al cielo di Cristo fa santa l’umanità ferita nel corpo di Cristo: il Corpo di Cristo reca in sé le ferite della Passione. Cristo non condanna le ferite del Mondo ma le imprime nel proprio corpo facendone porta di salvezza. La discesa dello Spirito Santo su Maria, gli apostoli e l’intera umanità compie la medesima operazione sul Corpo mistico di Cristo che è la Chiesa. Lo Spirito Santo trasforma le ferite dell’umanità in porte di salvezza scendendo come unguento sui nodi della storia, sulle fratture e le incomprensioni di cui è intessuta la nostra giornata. «Di generazione in generazione la sua misericordia si stende su quelli che lo temono» (Lc 1,50), dice Maria nel Magnificat. Lo vediamo nel primissimo effetto visibile causato da Pentecoste. Gli apostoli parlano nella lingua della Galilea, ma la gente che proviene «da ogni dove» (questo è il senso del lungo elenco di provenienze che la Scrittura ci offre) li intende nella propria «lingua nativa» (Atti 2,8). L’aggettivo nativo è straordinario. Richiama quell’episodio meraviglioso e terribile raccontato dal Secondo libro dei Maccabei in cui una madre assiste i sette figli che vengono uccisi uno dopo l’altro tra orribili tormenti. Ella, dice ripetutamente il testo, «parlava loro nella lingua paterna» (2 Mac 7,21). L’italiano per me non è solo la lingua che meglio conosco ma è quella di mio padre e di mia madre. Quella dei miei discorsi tra me e me, dei miei sogni. Delle mie arrabbiature e delle mie risate. Chi, all’estero, parla un’altra lingua quando incontra per caso chi parla italiano si sente a casa, custodito. L’Ascensione al Cielo di Gesù con il suo Corpo ferito ottiene che lo Spirito Santo scenda a ungere le ferite della nostra storia per trasformarle in case dove essere consolati. E tutti siamo coinvolti in quel 'assembramento' di Grazia che oggi più che mai fatichiamo a capire, ma che pure desideriamo con tutto noi stessi perché, nella sua sapienza, mette al centro il mistero dell’esigenza della Relazione dell’uomo con l’infinito e dell’uomo coi propri simili. Una relazione vera, concreta che dica come la dimensione intima e corale nel cristianesimo sono la faccia di un’unica medaglia: quella della relazione che diventa Persona.