Quelle sconvolgenti voci dai «lager» della Libia e il nostro dovere
Gentile direttore,
ho sentito casualmente alla radio la settimana scorsa la testimonianza di un cittadino afghano che è passato attraverso la detenzione nei campi di prigionia in Libia. Ne sono rimasto sconvolto e non me lo levo dalla mente. Diceva tra l’altro che è dovere di tutti denunciare e pretendere che chi ha responsabilità e potere intervenga per fermare questa palese violazione dei diritti umani. Non è tollerabile che persone che non hanno commesso alcun reato siano tenute prigioniere e in quelle condizioni. So che “Avvenire” ha da sempre denunciato tutto questo, ma forse insistendo in tanti e con costanza, l’Europa potrebbe cominciare a essere meno ipocrita...
I “lager” libici sono luoghi in cui si sta commettendo un lungo crimine contro l’umanità. Un crimine tollerato da Paesi di salda civiltà giuridica e che, come il nostro, affermano e difendono i diritti umani fondamentali, perché è attraverso di esso che è diventato possibile ridurre a poca cosa i flussi di profughi e migranti che dalle coste di quel grande Paese nordafricano muovono verso l’Italia e l’Europa. “Avvenire” documenta questi fatti da tempo, informando l’opinione pubblica, dialogando e premendo sulle autorità responsabili del nostro Paese, degli altri Stati della Ue e dei grandi organismi internazionali. Sono convinto, e dico e scrivo da tempo, che la cronaca che stiamo vivendo si farà presto storia, e che queste pagine amarissime ci giudicheranno tutti, di qua e di là dal mare, dando a ognuno il suo: trafficanti, calcolatori, cinici, speculatori, torturatori, operatori umanitari, soccorritori e ignavi. Noi – grazie ai miei buoni colleghi, ai lettori e al nostro Editore – abbiamo fatto e facciamo la nostra parte. Con coscienza e con professionalità, ma anche con l’assillo di non aver fatto abbastanza. Sappiamo qual è il nostro dovere, e intendiamo continuare ad assolverlo.