Opinioni

Appello agli educatori. «Populorum progressio» ossigeno per i giovani

Elisa Manna mercoledì 8 marzo 2017

Certe volte è meglio dirsi le cose come stanno, senza troppi giri di parole: quanti tra noi hanno rapporti ravvicinati con i ragazzi di oggi (per lavoro, o semplicemente come genitori o nonni) sperimentano quotidianamente la spiacevole sensazione di una crescita del 'nulla'. Una estrema povertà di riferimenti culturali tra preadolescenti e adolescenti, una mente che a volte sembra proprio come una lavagna vuota. Oltre alla difficoltà di esprimersi in un corretto italiano (di cui si dibatte ciclicamente) registriamo una sostanziale desertificazione di quel pantheon di scrittori, filosofi, poeti che hanno costituito da sempre l’ossatura mentale della generazione che studiava.

In passato questo pantheon si maturava negli anni, a partire dal primo 'classico' della letteratura pescato nella libreria di casa in un pomeriggio noioso e poi divorato febbrilmente le sere successive (che fosse lo Steinbeck di Furore o il Conrad di Tifone). I libri nelle case della cosiddetta borghesia, ma non solo, avevano un posto d’onore e non era pensabile arrivare alla maturità senza aver letto un pacchetto di testi importanti (non gli stessi per tutti, evidentemente), che rappresentavano una sorta di polizza assicurativa, un 'tesoretto' per affrontare le difficoltà della vita. Se avevi letto pagine immortali sapevi che la vita non è una passeggiata in un giardino grazioso e protetto, ma una grande traversata fatta di tempeste e bonacce da assaporare con consapevolezza e maturità.

Oggi ai nostri ragazzi da dove dovrebbero arrivare questi stimoli, se gli scaffali di casa si sono riempiti di libri commerciali da supermercato (quando va bene)? Non si sta qui ripetendo la nota apologia della letteratura immortale (che pure avrebbe il suo perché). No, si vuole qui fare un discorso diverso. La grande narrativa, la grande poesia sono come l’humus per una crescita biologica: naturale, a ritmi lenti e spontanei. Ma i tempi in cui siamo immersi sono sincopati, non prevedono spazi per lunghe riflessioni e letture. Forse, allora, bisogna giocare su un altro piano: stimoli dai contenuti molto potenti e concentrabili anche in pillole. Sì, abitualmente è la strategia della pubblicità che però tanta efficacia comunicativa la mette al servizio della vendita di una tavoletta di cioccolata piuttosto che di un’automobile.

E se, con un’operazione concettuale ardita, temeraria (la vita premia il coraggio), attingessimo a contenuti alti, altissimi per comunicarli a una platea immensa, inconsapevolmente assetata di senso, adottando una strategia comunicativa fortemente persuasiva? E se provassimo a 'riscoprire' contenuti nobili che vengono dal grande Pensiero della Chiesa per lanciare stimolanti e fertili provocazioni nelle menti dei più giovani? Impossibile? Troppo scarto? Come dare caviale a un affamato?

Per esempio, e non è un esempio casuale, proviamo ad abbandonare, per un momento, i nostri pre-concetti sul fatto che le encicliche siano cibo per palati nobili e formati. Proviamo a riprendere in mano un’enciclica straordinaria, la Populorum progressio del beato Paolo VI, di cui quest’anno ricorrono i cinquant’anni. Uno scritto di luce adamantina, che prefigura profeticamente, con decenni d’anticipo, le grandi domande che i movimenti migratori stanno drammaticamente ponendo alle «società dell’opulenza» di oggi. Perché non attingere a questo giacimento culturale straordinario per imbastire una lezione diversa, in cui parlare ai ragazzi dei concetti cardine di quell’enciclica: il progresso come crescita di tutti gli uomini e di tutto l’uomo (lo sviluppo integrale, o umanesimo plenario), la critica all’ossessione del progetto capitalistico basato sul profitto sregolato, l’idea che l’essere umano è intrinsecamente sociale (l’essere umano, da solo, non esiste, è un’astrazione). E ancora, lo sviluppo sociale non solo come sviluppo economico; l’idea che un analfabeta è uno spirito sottoalimentato; la necessità per la crescita del mondo non solo di tecnici ma di uomini capaci di pensiero profondo, votati alla ricerca di un umanesimo nuovo, che permetta all’uomo moderno di ritrovare se stesso, assumendo i valori superiori d’amore, d’amicizia, di contemplazione; l’ingiustizia sociale come ostacolo alla pace tra i popoli. Concetti ampi, di respiro pieno e profondo, che possono aprire orizzonti, sollevare domande: quanti tra noi insegnano si facciano mediatori culturali tra le forme altissime del pensiero della Chiesa e il vuoto pneumatico della cultura giovanile... Ma – mi permetto un suggerimento – non iniziamo dicendo: «Oggi parleremo dell’enciclica...». Togliamo la polvere, e facciamo respirare quelle straordinarie parole di libertà.